chiudi

È il quinto libro di Anna Maria Guidi: rappresenta forse la sua mano sinistra pronta a scandire il tempo musicale della sua poesia con l’aiuto della razionalità della sua mano destra. In esso, ma in maniera mai così possente e con tanta

È il quinto libro di Anna Maria Guidi: rappresenta forse la sua mano sinistra pronta a scandire il tempo musicale della sua poesia con l’aiuto della razionalità della sua mano destra. In esso, ma in maniera mai così possente e con tanta coerenza con i propri assunti di partenza, la forza espressiva e il senso del dolore del mondo che nasce dalla messa in scena del cammino attraverso la storia (piccola e grande, fatta da pochi e subita da ognuno) di chi ha saputo continuare a percorrere e superare le macerie del secolo trova nel momento cruciale del percorso il suo tratto distintivo, la sua marca precisa, ogni volta e di nuovo capace di identificare la ragion d’essere di una scelta poetica. Essere poeti – sostiene Anna Maria Guidi- significa sapersi mettere in transito, rischiare in proprio, definire e definirsi come momenti itineranti i propri momenti migliori e la propria capacità di vivere traendo da essa la linfa vitale per la propria poesia. Ed è davvero nella descrizione del passaggio tra dolore e gioia, tra vita e morte, tra poesia e sua negazione nelle brutture dell’esistenza negata, tra riflessione e canto il senso e la verità della scrittura di Anna Maria Guidi: un sogno che si fa espressione lirica e trasforma le esperienze vissute in progetto di rigenerazione del reale attraverso le parole martellanti e dolcissime del poeta. Fin dall’esergo («Vivere è un sentiero futuro | già trascorso. | Niente ci dice addio. | Niente, niente ci lascia») dovuto alla penna autorevole di Jorge Luis Borges, l’idea di fondo del libro è quella dell’attraversamento del tempo, della sua esplosione in epifanie legate al quotidiano e alla sperimentazione del reale senza che questo comporti un giudizio (moralistico o meno – ma è noto, i giudizi sul tempo e sul passato rischiano sempre, per loro natura, di essere moralistici) ma soltanto un’accettazione della loro funzione e del loro successo in essa. Si legga, ad esempio a pag.67: «The show must go on. È un acrobata | al trapezio il poeta. || Volteggia di parole | e non usa la rete. || Regala segni, | labili tracce | in punta di pensiero: || euritmiche giostre | guerriere d’armonia, | senz’armi nella tenda insanguinata | ove tiene la scena | - prim’attore- | il numero spietato dell’esistere». La poesia, dunque, è un rischio, un salto mortale nell’assoluto, un viaggio senza (possibile) ritorno: ci si può far male nell’intingere di parole la pagina bianca, nel passare da un sogno all’altro, da un delirio di segni ad ogni altro possibile altro, da un’epifania fatta di ricordi e di sensazioni alla descrizione senza pietà del proprio animo profondo e del proprio dolore di vivere. Come già aveva annotato Giorgio Luti nel suo Invito alla lettura al libro: «Così sembra chiara l’intenzione di corrispondere con i vari gruppi di liriche alle tre fasi che si possono facilmente individuare nel contesto generale dell’opera. Voglio dire che in realtà la raccolta si suddivide, è vero, in tredici movimenti, ma questi a loro volta si addensano e confluiscono nella agglutinazione di una sorvegliata, precisa dimensione. Il percorso che si viene compiendo porta da una memoria di una giovinezza ricca di scontri e battaglie interiori nelle difficoltà di una crescita sempre provvisoria, mai conclusa, dal superamento di tutte le appuntite avversità che i versi vengono rivelando (“ferivano, acuminate spine | di riccio i miei pensieri”) fino alla mietitura di “raccolti d’armonia” nel campo dell’anima, che di quei pensieri custodisce “intatto il sentire”» (pag. 9). Il “transito”, dunque, è certo quello della vita (e ciò potrebbe assomigliare a una semplice quanto banale trenodia per il tempo che passa) ma è quello della conoscenza dell’indefettibilità e della scorrevole inesorabilità della vita perché senza le storie di Celestino che in grisaglia metteva in ordine il tabernacolo della Madonnina sull’argine ripulendolo dagli insetti e dalle erbacce che la abitano e la possiedono con la loro maniacale e meccanica virtù di auto-riproduzione (pagg. 43-45) o di Fidelmo che dura la sua sobria e rassegnata esistenza in attesa di “andare” e di raggiungere la moglie senza dolore e senza rimpianti per aver vissuto molto poco la propria vita di stenti e di magre soddisfazioni (pagg. 65-66), senza il racconto della vecchiaia solerte e silenziosamente sorridente di Teresina ed Ernesto (pag. 94) o del destino sereno Sterpignèra morto senza soffrire in pace e in coerenza con sé stesso (pagg. 97-98), senza la storia di Lena, lunga e dolorosa e languida vicenda d’amore e di morte (pagg. 113-116) o di quella di vino e di delirio di Schìcchero morto per non aver saputo più trovare casa sua (pagg. 131-132), il libro di Anna Maria Guidi non avrebbe né potrebbe avere quel senso di ineluttabile accettazione della prossimità del mondo che conserva. Per questo motivo In transito costituisce uno straordinario regesto di situazioni poetiche (e forsanche di impoetiche ma ricondotte quasi a forza al registro di queste) che permettono di pensare alla poesia come a una raccolta di vicende che accadono misteriosamente e si svolgono, quasi in sogno, davanti agli occhi di chi ha appreso a vedere proprio grazie alla poesia e le trova capaci di alimentare quel gioco di prestigio e quell’esercizio sul trapezio in cui consiste (di solito esattamente e talvolta con un qualcosa in più che la rende capace di sopravvivere al Tempo e al Transito) la natura della scrittura come verifica e sostegno morale alle misteriose vie traverse della Vita.
Data recensione: 04/04/2007
Testata Giornalistica: Incontri
Autore: Giuseppe Panella