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Finalmente, hanno rivisto la luce. Dopo dodici anni. Non la luce del sole, per quella, forse, è ancora presto. La luce dei riflettori di una troupe televisiva. Due teste che la purezza delle line, la

I MISTERI DELL’ARTE
Riappaiono in tv due sculture d’autore. Ma dopo la ‘beffa’ chi le autenticherà?

Milano - Finalmente, hanno rivisto la luce. Dopo dodici anni. Non la luce del sole, per quella, forse, è ancora presto. La luce dei riflettori di una troupe televisiva. Due teste che la purezza delle line, la ieraticità dei tratti dicono scolpite da Amedeo Modigliani - se lo Stato italiano si deciderà mai a riconoscere la prestigiosa paternità - si sono affacciate dai borsoni, contenuti in un armadio della Soprintendenza di Pisa, in cui giacciono sotto sequestro. A inquadrarle, l’équipe di Giovanni Minoli, che le ha volute protagoniste de «Il mistero di Modì» nella puntata de «La storia siamo noi» realizzata da Emilia Brandi che andrà in onda questa sera alle 23.15 su RaiDue. Ultimo colpo di scena in una storia, sotto alcuni aspetti storiaccia, iniziata ormai quasi un quarto di secolo fa, con la famosa «beffa» delle finte teste di Modì. Cui s’intrecciarono, per anni, altri inattesi ritrovamenti, interminabili contese giudiziarie, soprattutto, da subito, la morte improvvisa e misteriosa di Jeanne, la figlia del pittore maledetto. Una lunga storia che Giovanni Morandi, direttore de Il Giorno, ha minuziosamente ricostruito in «La beffa di Modigliani - Tra falsari veri e falsi», denso quanto godibilissimo volume edito da Polistampa.
Ambiente ricco, quello dei falsari. Di denari e di pericoli. Ed è una sfida quella lanciata da Jeanne Modigliani, nel 1984 elegante signora di 65 anni, che dal padre - così sbadato da dimenticarsi, il 29 novembre 1918, di registrarne la nascita - vuole raccontare il volto più vero, non la fascinosa mitologia dal velenoso sapore d’assenzio. Le incursioni di Jeanne «nei corridoi delle expertises, dove le fogne del denaro inquinano tutto», si chiudono con un tragico urlo, a casa sua, sul finire del luglio 1984. Incidente? Delitto destinato ad essere perfetto? La polizia francese apre un’inchiesta. E subito la chiude. Per i gendarmi d’Oltralpe madame Jeanne è «banalmente» caduta dalle scale.
Peccato che madame Jeanne abbia ricevuto proprio il giorno prima da Livorno una lettera anonima in cui la si preavverte dell’imminente «beffa». Mentre la maxi-mostra con cui Livorno intende celebrare il centenario della nascita di Modigliani - la Livorno che, come canterà un secolo dopo Vinicio Capossela, «dà gloria soltanto all’esilio e ai morti la celebrità»-, la maxi-mostra, dicevamo, langue, tre giovani «bischeracci» scolpiscono false teste di Modì, le gettano nei Fossi, le fanno scoprire.
Per l’esultanza emozionata dei più celebrati storici dell’arte: «Sono opere di Modigliani». Poi, la raggelante rivelazione, gli autori che escono allo scoperto. È solo l’inizio. Le teste di Modì si moltiplicano. Prima, i falsi capolavori di Angelo Froglia: altro mistero, prima parla di «gesto provocatorio» contro il sistema dell’arte, anni dopo dirà che a guidargli lo scalpello sono stati ambienti del Comune di Livorno.
Ma il colpo di scena più clamoroso è datato 1991: Piero Carboni, professione carrozziere, afferma di possedere tre capolavori di Modigliani, recuperati sotto le macerie di una casa bombardata nel 1943, la casa di Roberto Simoncini, detto «Solicchio»: a lui Modigliani avrebbe affidato alcune sculture, nel remoto 1909, prima di rifuggirsene a Parigi. Verità? Sarebbe una verità milionaria. Peccato che, anche qui, sia sorto un problema: dove lo si trova, oggi, un esperto che si giochi la testa sulle teste di Modì?
Data recensione: 07/06/2007
Testata Giornalistica: Quotidiano Nazionale
Autore: Gian Marco Walch