chiudi

“No, fermi. Non fate fuoco. Sono nostri fratelli». E invece i «fratelli» spararono, colpendo, il 29 agosto 1862, il generale Giuseppe Garibaldi, classe 1807, nativo di Nizza, di professione…

Il grande eroe italiano viene presentato in una luce umanissima e non priva di sfumature comico-tragiche.

“No, fermi. Non fate fuoco. Sono nostri fratelli». E invece i «fratelli» spararono, colpendo, il 29 agosto 1862, il generale Giuseppe Garibaldi, classe 1807, nativo di Nizza, di professione rivoluzionario. Il proiettile raggiunse l’Eroe dei Due Mondi al piede destro: «La palla — si legge nella prima relazione medica — è penetrata a tre linee al di sopra e al davanti del malleolo interno: la ferita ha una figura triangolare a lembi lacerocontusi del diametro di mezzo pollice circa. Alla parte opposta, mezzo pollice circa al davanti del malleolo esterno, si avverte un gonfiore che sotto il tatto è resistente...». Il fattaccio avviene alle quattro del pomeriggio, sul massiccio dell’Aspromonte. Ma non solo il Generale paga un doloroso dazio: sul campo rimangono sette morti tra le fila garibaldine e cinque tra i soldati dell’esercito piemontese che, sotto la guida del colonnello Emilio Pallavicini di Priola, hanno avuto l’ordine dal governo italiano di fermare, costi quel costi ma con le dovute cautele (in fondo, Garibaldi aveva “regalato” l’intero Sud a Vittorio Emanuele II solo due anni prima...), i volontari in camicia rossa che volevano avvicinarsi un po’ troppo a Roma.

L’ “obiettivo Roma” nasce gradatamente nella mente di Garibaldi. E ha un curioso intermezzo, noto, notissimo, ma non in alcuni particolari. Nel giugno 1861 Abramo Lincoln invita il Generale a partecipare alla guerra di secessione, al servizio dei nordisti. Garibaldi è tentato, però, nella lettera di risposta, chiede «A che punto è la questione dell’emancipazione dei negri?». Insomma, il nizzardo subordina il suo impegno alla piena liberazione degli schiavi. Su questo punto, il governo nordista tergiversa, fa passare troppo tempo e il Nostro decide di rituffarsi nelle cose italiane. Le tappe successive sono Marsala e Palermo. In entrambe le occasioni, di fronte a una folla strabocchevole, risuonerà un grido che davvero ha fatto la Storia: «Roma o morte!». In realtà, questo slogan risorgimentale non fu pronunciato per la prima volta da Garibaldi, ma da un cittadino nella cattedrale della splendida cittadina del Trapanese. Il Generale ne rimase colpito per l’immediatezza del messaggio che emanava e lo fece suo, senza indugio. Il resto, è storia nota. Il faticoso viaggio nelle Calabrie, sotto una pioggia torrenziale, la scarsezza di mezzi, il tragico epilogo, lo scontro ‘fratricida’. E, più che altro, la ferita la cui storia viene ripercorsa in un curioso e godibilissmo volume dato alle stampa dalle Edizioni Polistampa di Firenze, il cui catalogo si arricchisce sempre più. Stiamo parlando di La ferita di Garibaldi ad Aspromonte. Documenti e lettere inedite a Ferdinando Zannetti, a cura di Gabriele Paolini con testi di Donatella Lippi, Gian Vincenzo Di Muria e Cosimo Ceccuti; la presentazione è affidata a Riccardo Nencini.

La mole di documenti presentati è molto interessante, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. C’è infatti una notevole mole di lettere di medici che si occuparono del caso, ma, più che altro, le “Relazioni mediche” e il bellissimo “Diario clinico” tenuto da un giovane patologo palermitano fedelissimo del Generale, Enrico Albanese. Il lettore potrà pensare che stiamo trattando di un argomento di nicchia, per superspecialisti. Ma si sbaglierebbe. Proprio queste note mediche, infatti, restituiscono il grande eroe italiano, che non esiterà ad aderire al socialismo, che darà prove concrete di riformismo, che, di fatto, farà l’unità d’Italia, che accorrerà ovunque ci sarà bisogno di lui per riconquistare diritti negati, a una luce umanissima e non priva di sfumature comico-tragiche. Quel che colpisce è la durata della malattia del Generale: ferito il 29 agosto, la palla che si era infilata nella sua gamba verrà estratta il 23 novembre, dopo mesi di esplorazioni, cure, tentativi a vuoto. Addirittura, all’inizio, si prospettava l’idea di amputare il piede (soluzione che lo stesso Garibaldi avrebbe avallato pur di tornare subito in campo) né si era certi che ci fosse effettivamente la pallottola. Mille gli episodi registrati. Ad esempio quando l’équipe medica si arrabbia col Generale che, nonostante i tanti patimenti, si ostina a fumare sigari e a bere caffè. Oppure, date le sue sofferenze artrosiche, la necessità di continui bagni gelati. Per non parlare della solenne arrabbiatura che Garibaldi esternò a modo suo quando alcuni dei suoi più stretti collaboratori si mostrarono intenzionati a bloccare il trasferimento a Pisa perché certi delle sue dissestate finanze. Argomento che apre un capitolo assai denso sul disinteresse dell’uomo verso il denaro e che ci restituisce l’immagine cara a tutti gli italiani dell’“eroe senza macchia e senza paura”.

Ma, in queste pagine, c’è un altro eroe, quel Ferdinando Zannetti che estrasse la pallottola che martirizzava Garibaldi e a cui è dedicato il sottotitolo del volume. Nato a Galeata nel forlivese nel 1801, fu uno dei medici più bravi e ricercati del Risorgimento, in anni in cui la scienza medica fece progressi enormi ma che ancora non disponeva di tutta la tecnologia che avremo nella seconda metà del Novecento. Protagonista dell’eroico biennio 1848-49, fu, a tutti gli effetti un medico garibaldino, amato e rispettato, cercato da tutti e grande amico del nizzardo. Accanto a lui, spicca Albanese, cui abbiamo già accennato. Dalle sue lettere, dal suo stare sempre accanto a Garibaldi, fino a guarigione avvenuta, c’è tutto l’ardore del giovane impegnato che non esita a mettere a rischio la sua carriera pur di perseguire il suo disegno: restituire all’Italia il suo eroe. Ma gli elementi da proporre al pubblico sarebbero assai di più. Impossibile anche solo elencarli tutti. Di certo, si comprende perché la famosa canzoncina «Garibaldi fu ferito, fu ferito a una gamba...» sia diventata, dal quel lontanissimo 1862, uno dei segni più diffusi della nostra identità, al di là di ogni retorica patriottarda. E quindi, non si può che raccomandare la lettura del volume che ben rende l’idea della storia di un uomo, delle sue passioni e delle sue debolezze. Il tutto, in un contesto che di ‘eroico’ ha poco. Ma che ha moltissimo, invece, sotto il profilo della comprensione dei meccanismi emotivi che regolano l’azione dell’uomo. Infine, la domanda, spontanea: la maledetta pallottola estratta dov’è oggi? Erroneamente, i curatori del volume affermano essere stata persa. Non è vero: chiunque può vederla al Museo del Risorgimento di Roma, al Vittoriano della Patria.
Data recensione: 03/07/2005
Testata Giornalistica: L’Avanti
Autore: Francesco Ghidetti