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Renzo Manetti ha all’attivo una serie di pubblicazioni specialistiche, che sono il frutto della sua esplorazione nel mondo dei segni sacri, dell’architettura sacra e di quella militare. Con ‘Il

Renzo Manetti ha all’attivo una serie di pubblicazioni specialistiche, che sono il frutto della sua esplorazione nel mondo dei segni sacri, dell’architettura sacra e di quella militare. Con ‘Il segreto di San Miniato’, edito da Polistampa, consegna la sua prima opera narrativa che costituisce il tentativo di comunicare alcune convinzioni maturate con i suoi studi e una lunga meditazione su temi propri della fede, attraverso lo strumento del racconto, della storia raccontata. Questo richiede a un saggista un notevole sforzo espressivo per evitare di giustapporre posizioni diverse, nei dialoghi come anche nella ricostruzione di una vicenda che abbraccia un lungo numero di anni (quanti l’esistenza del protagonista Yoseph), con il linguaggio proprio della filosofia. Il protagonista è Yoseph, un ebreo fiorentino, figlio di un uomo legato a un frate benedettino olivetano di San Miniato con il quale ha in comune la ricerca della pietra filosofale, di quella pietra cioè che nella vulgata è una serie di procedimenti chimici con cui si può creare l’oro, l’elemento più prezioso, ma che nella ricerca degli uomini che ambiscono a una sapienza profonda è qualcosa, un varco che consente di superare il tempo costretto alla corruzione e alla morte, è la porta che conduce alla sapienza avvolgente di Dio, all’amore dei cari scomparsi e che vengono finalmente ritrovati. Tutta la storia raccontata da Manetti si svolge intorno a una ricerca duplice: da una parte chi cerca la sapienza del cuore, confidando sulle tre strade sacre della fede cristiana, di quella ebraica e di quella islamica; dall’altra chi cerca la pietra filosofale illudendosi di potere fabbricare oro, arricchirsi, affermarsi con il potere. In questa ricerca, che oppone il giovane Yoseph con il monaco Arduino e i loro amici, al canonico e poi arciprete Drogo di Firenze, l’autore ripropone alcuni prismi decisivi per interpretare la storia e l’antropologia, la vicenda umana e l’anima. Circa il primo aspetto: non si riesce a cogliere il moto della storia se non ci si colloca in una geografia fatta di segni, di luoghi. Manetti, in questo senso, conduce il lettore alla scoperta della geografia dei luoghi che conosciamo, la Firenze medievale, ma anche la Francia e la Terra Santa di quella stessa epoca. Il valore aggiunto, preziosissimo, è che il libro consente di addentrarsi nella riscoperta dei segni che sono intorno a noi e che nella fretta tipica del presente non riusciamo più a cogliere. La decifrazione di una lapide di San Miniato, in particolare, fa ipotizzare a Manetti che la guida dell’abbazia sia stata un tempo affidata a un ebreo convertito, Yoseph che è il protagonista del suo romanzo. Le pagine sul significato della facciata di San Miniato, come anche del Battistero, o, ancora, l’interpretazione cristianizzata, ebraica o islamica dei segni zodiacali e delle rappresentazioni di tradizioni leggendarie come quelle legate alla ricerca del Graal, sono particolarmente belle e aggraziate. Circa il secondo aspetto, quello più strettamente antropologico: ogni uomo è dotato, come dicono i padri della Chiesa, di un profilo interiore che può assumere tratti angelici oppure demoniaci. Il libro di Manetti si evolve lungo il confronto di questi due profili nella micro e nella macrostoria, la storia dei personaggi e al tempo stesso l’incontro-scontro dei popoli e delle fedi. Anche in questo senso il romanzo ha una ricaduta importante per le indicazioni che intende dare al presente a partire da quelle vicende e dai simboli che le percorrono. Prendiamo alcuni esempi. Il libro che il padre di Yoseph scrive sulla sua ricerca della pietra filosofale porta il titolo di ‘Ars fio’, cioè, nella traduzione che Manetti ne dà, "vengo alla luce attraverso l’arte". Ci si può domandare, con l’autore, qual è l’arte che consente di uscire da sé e di venire alla luce? Manetti la descrive nei dialoghi e nell’amicizia che accompagna Yoseph, nell’amore che lo lega a Miriam e a tutti gli altri. Uno dei simboli è poi il labirinto: "Il labirinto – si legge – ci costringe a confrontarci con noi stessi. Il percorso deve essere lungo e tortuoso per far crescere la potenza dello spirito". Ancora. Di fronte a prospettive sciagurate di divisione gli amici di Yoseph si raccolgono attorno a una frase: "Siamo fedeli dell’amore di Dio e delle sue leggi. Portiamo dovunque il messaggio che Egli è Uno. Che i modi diversi di immaginare la sua grandezza non devono essere fonte di divisione. Restiamo sempre uniti attraverso lo Spirito, grazie al quale il sole risplende nuovo ogni giorno, sui cristiani, sugli ebrei e sui musulmani" Non è un caso che lo strumento principale che accompagna il racconto sia il dialogo. Il dialogo di fatto emerge come la pietra filosofale disprezzata dai vari Drogo che cercano l’affermazione di sé contro gli altri. Il dialogo è un’arte: è scendere nel cuore degli altri, comunque esso sia, per coglierne le motivazioni interiori e interloquire. Attraverso quest’arte ci inoltriamo nel labirinto della storia umana con la possibilità di scegliere per noi stessi e per gli altri un profilo angelico o demoniaco. Il percorso "deve essere lungo", talvolta tortuoso, altrimenti l’alternativa è fare come Rinaldo di Chatillon che si affida alla violenza e alla provocazione e coinvolge nel dolore migliaia di persone. Sono esempi che dicono tanto del nostro presente. Che strada prendere? Si può interpretare il finale del romanzo. Per Manetti la basilica di San Miniato si presenta come una conchiglia che ha risposta, al suo interno, la perla della sapienza. Sarebbe figura del Graal, il sacro calice in cui avrebbero bevuto Cristo e i discepoli, tranne Giuda, nell’ultima cena. L’immagine del Graal mette davanti due cose: da una parte il calice della storia che raccoglie un vino che diventa sangue e dall’altra il cuore di ciascuno che può farsi mangiatoia per accogliere un Dio bambino. Questa capacità di accogliere nel cuore consente al calice della storia di trasformare il sangue in vino, nel gusto della vita.
Data recensione: 01/03/2007
Testata Giornalistica: Il Governo delle Cose
Autore: Michele Brancale