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È inutile cercare “Ratafià e Ghirighio” nel dizionario, dove non si trovano questi due oscuri lemmi, mentre è più facile trovarli in libreria perché sono il titolo di un fortunato libro, scritto anni fa da Umberto Mannucci

È inutile cercare “Ratafià e Ghirighio” nel dizionario, dove non si trovano questi due oscuri lemmi, mentre è più facile trovarli in libreria perché sono il titolo di un fortunato libro, scritto anni fa da Umberto Mannucci e Pietro Vestri, e che ora viene riproposto (dopo il successo del 1982) quale zibaldone culinario pratese. Le due oscure parole (misteriose, quasi linguaggio da stregoni, come abracadabra) in realtà indicavano una bevanda e un dolce di diffuso uso pratese, e cioè un’antica bevanda, poco alcolica, dal sapore fruttato (più fruttato di certi vini bianchi cisalpini e transalpini) e un normalissimo castagnaccio, insomma un bere per dare inizio al pranzo, e un dolce popolare per concluderlo. Ora il libro di Mannucci e Vestri è riproposto con pagine ricche di ricette pratesi, che non appartengono alla cucina internazionale, ma che ricordano come si facevano certi piatti semplici a base di roba nostrana: un esempio è la “minestra maritata” che le massaie preparavano mescolando due tipi di pasta che erano avanzati, in piccola quantità, nella dispensa (o anche la farinata gialla col cavolo nero, o la pappa col pomodoro, o le ficattole).
Un libro di memorie e anche nostalgie gastronomiche.
Data recensione: 01/01/2008
Testata Giornalistica: Toscana Qui
Autore: Giorgio Batini