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Millenni di fatica al buio. Dagli Etruschi ai Medici, dai Lorena a Mussolini alla Montecatini Edison, la Maremma grossetana ha scritto gran parte della sua storia sotto terra. Scavando e lavorando argento

Una storia millenaria di fatica e tecnologie: una mostra e un libro riportano l’attenzione sull’archeoindustria toscanaUn progetto di rete per i quattro parchi maremmaniMillenni di fatica al buio. Dagli Etruschi ai Medici, dai Lorena a Mussolini alla Montecatini Edison, la Maremma grossetana ha scritto gran parte della sua storia sotto terra. Scavando e lavorando argento, oro, rame e pirite, come gli Etruschi; estraendo il mercurio, come nelle miniere della famiglia Rosselli - quella di Carlo e Nello - sull’Amiata; domando i geyser per produrre energia geotermica fin dal 1904. Oppure estraendo l’acido borico dai soffioni, come quelli scoperti e per primo sfruttati negli anni venti dell’Ottocento dal francese Francois de Lardel, che Leopoldo II ringraziò facendolo conte di Montecerboli nel 1827 ed ebbe, più tardi, titolata la capitale di quell’area oggi nelle mani dell’Enel. Fra malaria, latifondo, butteri, mistici e briganti, la Maremma ha fornito nei secoli ferro agli eserciti dei Medici e alle armate di Napoleone, morti alla lotta contro il nazifascismo, come i minatori massacrati nel ’44 a Niccioleta, e a quella per meno disumane condizioni di lavoro. Come i 43 straziati dall’esplosione di grisou nel pozzo Camorra sud a Ribolla la rossa fra le 8,35 e le 8,45 del 4 maggio ’54: l’apocalisse figlia del profitto che sventrò la terra e ne fece un forno di morte e fiamme a 110 gradi. La più grave tragedia mineraria italiana del dopoguerra, della quale resta la magnifica orazione civile delle pagine de I minatori della Maremma di Luciano Bianciardi e Carlo Cassola. Una storia lunga e tragica di fatica e povertà, padroni e operai, sfruttamento ingiustizie e ribellioni, quella della Maremma mineraria. Ma anche una storia di lavoro memoria e cultura, tecnologie e, fin dall’antichità, trasformazione del paesaggio. Ridisegnato dai pozzi e castelli che, vestigia di una modernità uccisa dalla sua stessa avanzata, punteggiano di insolite bellezze boschi e colline dell’attuale Parco nazionale tecnologico e archeolgico delle Colline Metallifere grossetane. Al quale si accede dalle sue sette porte: i comuni di Montieri e Monterotondo Marittimo a nord, Roccastrada, Gavorrano, Scarlino e Follonica a sud, e, al centro, Massa Marittima, potente vescovado che batteva moneta già nel Medioevo e nel 1294 s’era dato un corposo codice che, fatto eccezionale per l’Europa d’allora, legiferava in materia di miniere. Quelle pergamene hanno da poco lasciato l’archivio di Stato di Firenze per la Galleria dell’Accademia delle arti e del disegno in piazza San Marco dove è in corso la mostra Paesaggi industriali del ’900 in Toscana che coi severi bianchi e neri del belga Bernard Bay, direttore dell’Accademia di Belle Arti di Tournai, da oltre vent’anni apprezzato fotografo di miniere e siti industriali, riporta alla luce una Toscana leggendaria ma ancora poco nota e, umiliata dallo strapotere dell’arte, ancor meno valorizzata. Sulla quale indaga con ricchezza di immagini e testi anche il bel catalogo Polistampa curato, insieme all’esposizione, da Massimo Preite, docente di Architettura a Firenze e studioso del patrimonio archeoindustriale. In mostra però c’è anche una parte del presente e del futuro della Toscana sotto terra: il master plan che Preite e l’archeologo medievale Riccardo Francovich hanno messo a punto per il Parco delle Colline grossetane. Un giacimento di formidabile successo storico, culturale e ambientale attivo dal 2002, nel quale si intrecciano una moderna visione dei beni archeoindustriali e la loro valorizzazione turistica. Le vecchie miniere, restaurate e visibili, tornano dunque a produrre ricchezza, oggi alla luce del sole. O almeno potrebbero: l’attenzione che governo ed enti locali concedono in Italia a questo specifico e rilevante settore dei beni culturali (e la nostra ricchissima archeologia subacquea non gode purtroppo di miglior sorte) è storicamente ridotta. Al contrario di quanto accade negli Stati Uniti, in Francia, INghilterra e Germania, dove da anni analoghi luoghi sono attivissimi parchi tematici. Ma ora qualcosa in Toscana potrebbe muoversi. A partire dalla rete dei quattro parchi del settore - miniere dell’Amiata, dell’Elba, Val di Cornia e Colline grossetane - creando, sul modello del comparto termale, un percorso con servizi, offerta, iniziative e promozioni integrate: il progetto "Quel filo che unisce", delineato da esperti di chiara fama come Francovich, Preite e Ivano Tognarini, i parchi l’hanno affidato alla Regione attraverso gli assessorati al Turismo e all’Ambiente. Manca per ora all’appello quello, indispensabile, alla Cultura. In attesa di segnali, il Parco delle Colline grossetane, col budget del ministero dell’Ambiente ridotto da 500mila a 250mila euro, sta lavorando all’apertura della nuova sede - per ora è ospite della Provincia - a Gavarrano, dove si stanno restaurando i pozzi Roma e Impero delle ex miniere di pirite più grandi d’Europa, e dell’archivio storico a Niccioleta, mentre a breve riceverà dal comune di Follonica, cui lo Stato l’ha ceduta, la storica fonderia granducale Leopolda. Accanto, le acquisizioni e messa in rete di due preziosi fondi fotografici; le quattromila immagini toscane di quello Montedison e le oltre ventimila dell’archivio di Corrado Bianchi, il fotografo fiorentino che divenne famoso per lo scatto della rovesciata di Parola e consacrò poi la vita a raccontare le miniere grossetane, tragedie incluse. Come le sue immagini dell’orrore di Ribolla che Cassola e Bianciardi vollero per il loro requiem.
Data recensione: 11/03/2007
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Paolo Russo