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Torna l’Etiopia “malapartiana” di celebri articoli Con buona pace di Lorenzo Del Boca e dei suoi nipotini insediati nelle cattedre universitarie, tanto pronti a denunciare l’uso dei gas da parte delle nostre truppe quanto inclini a giustificare le mutilazioni inflitte ai nostri soldati e agli ascari in quanto «parte della cultura di guerra degli etiopici», la guerra d’Abissinia continua a essere considerata una pagina della nostra storia degna di essere ricordata. Anche per questo la memorialistica a essa dedicata suscita gli interessi degli editori a più di sessant’anni da quel 9 maggio del 1936 in cui Mussolini comunicò agli italiani la rinascita dell’Impero. Nella sola Firenze, per esempio, a distanza di pochi mesi, sono usciti due libri accomunati dal fatto di descrivere due coeve esperienze nell’Africa orientale italiana [...]. Faccetta nera e la regina di Saba è il diario inedito che il ventenne Giuseppe Cei, all’epoca aiutante scientifico nel Museo antropologico di Firenze e in seguito eminente studioso di zoologia animale, tenne dal dicembre del 1938 all’aprile 1939 nel corso della spedizione etnologica in Etipia diretta dall’antropologo Lidio Cipriani.
[...] La spedizione di Cipriani, fascista convinto, avveniva nel 1939 sotto l’egida del regime, che aveva da poco meno di un anno bandito la campagna per la "difesa della razza". Non a caso, prima di salpare da Napoli, il gruppo si recava in visita alla redazione dell’omonima rivista, di cui Cei traccia un bozzetto poco lusinghiero («presenti solo 2 o 3 tipi insignificanti in un ufficio fatto di tela di sacco, strisce di lamiera e assicelle») e agli uffici del Centro studi razziali. Cipriani aveva però sulle etnie africane e in particolare etiopiche una personale opinione, sviluppata in molte opere scientifiche. In base ad essa l’Africa sarebbe stata popolata originariamente da razze superiori, che avevano dato vita a civiltà culturalmente elevate, decadute in seguito all’ibridazione con etnie indigene. Di qui le laboriose ricerche sugli spesso riluttanti nativi, a base di misurazioni antropometriche e "maschere facciali", cui il dispotico Cipriani costringe il suo malcapitato assistente. Ma anche lo sdegno dello scienziato per il comportamento prevaricatore di molti bianchi nei confronti di etnie non prive di una loro dignità, spinte in questo modo alla ribellione. A parte l’aspetto scientifico, ovviamente datato, il diario di Cei è godibilissimo per la ricchezza di aneddoti pruriginosi (per esempio sul comportamento sessuale delle indigene delle varie tribù), di notazioni gastronomiche (su una «squisita gobba di zebù alla salsa piccante»), di osservazioni acute sul personale amministrativo italiano. Le valutazioni negative non mancano, ma rientrano nella critica interna al regime di un giovane precoce - a ventun’anni da compiere già laureato in biologia e ufficiale di complemento - che comunque sessant’anni dopo, al momento di scrivere le pagine introduttive del diario, avrebbe riconosciuto gli indubbi meriti del colonialismo italiano, paragonandolo ai nefasti regimi usciti dalla decolonizzazione e al «subdolo, corruttore neocolonialismo industriale, commerciale, finanziario».
Data recensione: 27/06/2007
Testata Giornalistica: Il Secolo d’Italia
Autore: Enrico Nistri