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Iniziamo subito parlando della suggestiva leggenda che riguarda il luogo di fondazione della basilica fiorentina…

Iniziamo subito parlando della suggestiva leggenda che riguarda il luogo di fondazione della basilica fiorentina…
Leggenda piuttosto macabra e grottesca, per la verità: San Miniato, re armeno di passaggio a Firenze,appena decapitato, raccolse la sua stessa testa e andò a depositarla dove oggi sorge la basilica, indicando che lì voleva essere sepolto. In realtà sembra che egli fosse di origine siriana e venisse martirizzato a Firenze durante la persecuzione di Decio nel 250. Il cristianesimo giunse infatti a Firenze dalla Siria. I riti e i santi venerati erano di origine siriana (Miniato, Reparata).
Il segreto che viene custodito nella basilica ruota intorno ad una iscrizione posta sul pavimento in marmo. Secondo una lettura particolare l’iscrizione potrebbe celare un significato diverso da quello letterario… Di cosa si tratta?
L’iscrizione è posta proprio di fronte all’ingresso principale, fra questo ed un grande zodiaco, al quale è collegata simbolicamente. L’iscrizione, in latino medievale, è composta di due parti, ma scritta tutta di seguito. Se prendiamo le parole finali di ogni riga, si svela una seconda frase, quella che indica la presenza di un segreto: “1207. Queste cose preservano dal potere del tempo e della morte”. Allora è bene guardare con più attenzione anche alla prima frase e vedremo che la maggior parte delle parole vi hanno un doppio significato. La frase viene generalmente tradotta così: “Qui davanti ai battenti, per grazia celeste, poeta e giudice, questo fece fondare Giuseppe. Perciò prego Cristo di poter vivere sempre in Lui”. In realtà per “battente” si usa il termine “valve”, che allude anche alla conchiglia che racchiude il segreto della nascita della perla. Una leggenda medievale racconta che la perla, come la pietra filosofale, scaturisce quando la conchiglia è percossa da un fulmine, cioè quando il cielo cala la sua forza nel grembo da cui scaturisce la vita. Così per “grazia celeste” si usa il termine “numen”, che in realtà si riferisce alla potenza sacra del cielo, quell’energia primordiale ed eterna che irradia dalle costellazioni raffigurate nella ruota dello zodiaco. Gli alchimisti sostenevano che la pietra filosofale si forma sotto gli influssi della ruota cosmica. Per “poeta” si usa “metricus”, che in realtà può ben riferirsi a colui che è in grado di riconoscere le leggi armoniche del cosmo, regolate, come si legge nel Libro della Sapienza, da “numero, misura e peso”. Quanto a “giudice”, si dà per scontato che questo Giuseppe fosse proprio un giudice. Ma in nessun documento se ne trova traccia. Non solo, il nome Giuseppe è raro fra i cristiani e nel Medio evo fiorentino non ne ho trovato traccia nei documenti e nei regesti, se non riferito all’iscrizione di San Miniato. È infatti un nome ebreo. C’è tuttavia un’unica eccezione e risale proprio a quegli anni: in un documento si cita un abate di San Miniato di nome Giuseppe. Non può essere una coincidenza. Ma se questo Giuseppe era l’abate non poteva essere anche giudice. Questo dimostra che gli storici spesso si fermano alle apparenze e che nel nostro caso probabilmente la parola giudice si riferisce a chi era in grado di giudicare e sovrintendere un’opera di così alto significato sacro. Chi era dunque questo Giuseppe, abate dal nome ebreo? Da questa domanda è nato il libro.
In quell’iscrizione, dunque, si allude ad una sorta di “elixir di lunga vita”: la pietra filosofale che era il fine ultimo dell’Opera degli alchimisti. Che cosa è esattamente l’alchimia?
L’alchimia è l’arte della trasmutazione dei metalli nella perfezione dell’oro. Si credeva che ogni metallo tendesse naturalmente a diventare oro e l’alchimista cercava di accelerare con la sua arte un processo che la natura svolge nel corso di secoli o di ere. Ma l’alchimia non è una semplice chimica, anche se molti alchimisti hanno fatto fondamentali scoperte chimiche. Esiste infatti un parallelismo simbolico fra la crescita dei metalli verso l’oro e quella dello spirito umano verso la perfezione di Dio. Intento nella cura e nell’osservazione della trasmutazione del metallo, in realtà il vero alchimista trasmutava se stesso, ricercando in sé la perfezione angelica nascosta nel profondo. Le mutazioni della materia erano dunque lo specchio di quanto avveniva nell’anima.
Qual è il rapporto tra l’alchimia e la Cabala?
Si tratta di due vie diverse. Tuttavia ogni strada esoterica conduce verso la stessa destinazione: la perfezione dello spirito. Così il cabbalista esplora il mondo del libro sacro, il cui testo è infinito come Colui che l’ha emanato, nella convinzione di trovarvi racchiusa l’intera potenza di Dio. A ogni lettera dell’alfabeto ebraico corrisponde un numero e le combinazioni di questi numeri sono in grado di svelare il significato segreto delle parole ed i misteri dell’armonia creatrice. Così il cabbalista riteneva di poter giungere ad infondere la vita nella materia: è il mito del golem.
E la pietra filosofale?
Anche l’alchimista con la sua arte penetra i segreti della natura alla ricerca della potenza creatrice e, trovatala, fa suo il talismano più prezioso, nel quale ogni perfezione si trova racchiusa.
In concreto, gli alchimisti come speravano di giungere alla scoperta della pietra?
Esteriormente, l’opera alchemica è un lento procedimento di cottura della materia prima, che passa attraverso tre fasi fondamentali. Ma in realtà la trasmutazione è interiore e le mutazioni della materia sono solo lo specchio di ciò che avviene nell’anima. È importante ricordare che l’alchimista non si ritiene un mago, è consapevole infatti che la chiave della porta segreta può essere donata solo dall’alto, quando l’anima si sia fatta degna di riceverla. È questa la differenza fra il mago ed il sapiente: il mago pretende di operare i prodigi, il sapiente li chiede all’Onnipotente e li accoglie con animo grato.
Nel suo romanzo, sempre parlando di alchimia, il padre di Joseph afferma che: “tutto il segreto della vita sta nel numero due; quando imparerai il modo di far tornare i due in uno solo, allora avrai scoperto il segreto…” Ci aiuti a comprendere…
Tutta l’alchimia ruota attorno al segreto dell’unione degli opposti, simboleggiato da quello del re e della regina nel forno alchemico. Due nature minerali, attraverso un agente legante, si combinano a formano la pietra filosofale. In realtà questo è l’allegoria di un processo interiore, che conduce lentamente a ricomporre la frattura fra corpo e spirito introdotta col peccato originale. Ritrovare il volto angelico nascosto nel profondo di ciascuno e ricostituire l’unità originaria fra le due nature significa raggiungere la perfezione dell’essere.
Si sa di alchimisti che si avvicinarono al compimento dell’opera?
Molte sono le storie, molte in realtà sono solo allegorie. Come la storia dell’alchimista parigino Flamel e di sua moglie Perrenelle vissuti nel XIV secolo. O del misterioso Fulcanelli, che ha celato per sempre la sua identità sotto uno pseudonimo. Certo l’alchimista che trova la pietra filosofale non va a raccontarlo in giro, perchè egli è al di là di ogni ambizione. La pietra si forma solo nell’umiltà e nell’oscurità. Egli sa inoltre che questo segreto non va divulgato ma solo rivelato da maestro a discepolo.
Che posizione prendeva la Chiesa nei confronti dell’alchimia?
Diversa a seconda delle epoche. Ci furono uomini di chiesa alchimisti. Così alcuni mistici medievali non trovarono niente di strano ad usare nei loro sermoni paragoni alchemici, come Maestro Eckhart. Ancje alcuni sovrani furono alchimisti e la Chiesa si guardò bene dal condannarli.
Perché la chiesa considerava pericoloso il libro di Asclepio?
È una costante della tradizione esoterica che i misteri non possano essere divulgati a tutti, ma partecipati per gradi solo a chi si dimostri capace di seguire la strada della sapienza. Non può affrontare la parete di roccia chi non sia preparato, altrimenti rischia di precipitare e morire. Così i cabbalisti ripetono che non è opportuno accostarsi allo studio della Cabbalà se non si abbia almeno passato i 40 anni. Non si può affrontare la lettura di testi arcani come quello dell’Asclepio o degli altri testi gnostici ed ermetici, senza aver percorso un cammino di perfezionamento interiore, altrimenti non se ne comprende il senso e si viene fuorviati. Il significato vero è infatti nascosto in allegorie e terminologie fatte apposte per essere comprese solo da pochi. L’alchimia viene trasmessa da maestro a discepolo, ma solo a chi si dimostri moralmente all’altezza di apprenderne i segreti. Oggi tutto viene divulgato. Le tecniche della manipolazione della materia e della vita, un potere immenso, sono affidate spesso alle mani di persone prive di ogni scrupolo morale, che vivono solo per l’ambizione o per l’avidità. E questo ci sta conducendo alla rovina.
Torniamo a San Miniato… La basilica è uno splendido esempio di romanico fiorentino. Sia nell’architettura che nelle decorazioni è fortemente caratterizzato a livello simbolico e filosofico…
Tutta l’architettura sacra medievale è simbolica, perché l’uomo del Medio evo sapeva bene che i simboli sono una lingua universale, comprensibile a tutti al di là delle differenze di nazionalità o di religione, e l’unica con cui si possono esprimere i misteri arcani di Dio. I simboli parlano a tutti ma sono compresi in modo diverso a seconda del grado di maturazione spirituale. In ciascuno inducono comunque una riflessione. In San Miniato tanti sono i simboli. La facciata in particolare è una vera e propria sinfonia musicale, dove gli accordi sono quelli della geometria sacra. Se la Sapienza ha tutto disposto secondo “numero, misura e peso”, attraverso i numeri si possono svelare i segreti del cosmo ed aprire le porte della dimensione dello spirito. Così tutta la basilica è in un certo senso un grandioso talismano, una porta del cielo.
Quanto, in generale, la filosofia neoplatonica ed ermetica ha influenzato l’architettura medioevale?
Difficile dirlo. Certo la scuola platonica di Chartres che fiorì nel XII secolo precede e preannuncia la nascita del gotico. Già Argan aveva messo in relazione il romanico fiorentino con la permanenza nella città di una tradizione neoplatonica. Che il cristianesimo fosse giunto a Firenze dalla Siria avvalora questi tesi, perché dai centri carovanieri della Siria si irradiarono nel mondo romano le tradizioni gnostiche ed iraniche, congiunte col neoplatonismo. Ritengo che gli studi sui rapporti fra architettura e musica, sulle proporzioni armoniche nell’architettura medievale andrebbero sviluppati e rivelerebbero coincidenze sorprendenti.
Nel suo romanzo, si muovono diversi personaggi: due in particolare hanno particolare interesse. Wolfram e Guyot. Andiamo con ordine… Wolfram è realmente esistito. Chi era costui?
Wolfram von Eschembach scrisse il Parzival a cavallo fra il XII e il XIII secolo, nel quale narra la saga del Graal. Di lui abbiamo solo le poche notizie che egli stesso fornisce nel suo racconto, che cioè era figlio cadetto di un piccolo nobile tedesco. Egli fu il primo a identificare il Graal con una pietra, definendola con un termine misterioso: “lapsit exillis”. Fino ad allora si era parlato di una recipiente... Quanto a Guyot, Wolfram scrisse che la storia del Graal gli era stata trasmessa da un certo Kyot, trascrizione del nome provenzale Guyot. Questi l’avrebbe rinvenuta in un libro antico, scritto in arabo da Flegetanis, un saggio della stirpe di Salomone. Nel libro del Graal, secondo Wolfram, confluiscono quindi tradizioni esoteriche dei sufi islamici e dei cabbalisti ebrei. Ho voluto imaginare Guyot come un poeta architetto, capace di cantare i versi misteriosi del Graal e di imprimerne il mistero nella facciata di San Miniato.
Wolfram Von Eschenback credeva che fosse l’ordine templare a custodire il Graal...
Si, egli lo dice chiaramente: i templari sono i custodi del Graal e da esso essi traggono il loro sostentamento.
Sul Graal, soprattutto ultimamente, sono state fatte molte ipotesi la maggior parte anche di dubbia pertinenza. Lei che ne pensa?
Il Graal è un simbolo, di un’efficacia così sorprendente da aver colpito l’immaginario di generazioni in modo indelebile. La curiosità del Graal può spingere la persona assetata di assoluto ad iniziare la ricerca. Se il cammino sarà condotto sul giusto sentiero, con umiltà e silenzio, il Graal si manifesterà. Come dice Wolfram, al castello del Graal non si giunge con le proprie forze, ma per illuminazione. La curiosità del Graal d’altra parte può condurre all’opposto, cioè all’inganno ed all’abbaglio. Il Codice da Vinci ne è l’esempio più chiaro: un libro ben scritto, ma che col Graal non ha niente a che vedere. A Firenze si usa un’espressione efficace per definire uno che ti vuole abbindolare: “ti vuol dare a intendere che Cristo è morto di sonno”. Stringi stringi la tesi del Codice da Vinci è proprio questa.
Anche Guyot, l’architetto provenzale che istruisce Joseph alla geometria, afferma che risolvendo “l’enigma del 21” si può giungere alla visione del Graal. E allude anche a una certa vibrazione che è nelle pietre, di come gli scalpellini più valenti sentano una sorta di energia interiore nella pietra…
Le pietre sono vive e percorse da correnti di energia che si dispongono secondo polarità opposte. Vanno rispettate, tagliate e collocate ascoltandone le vibrazioni. Quanti sono in grado di capire che la pietra non è semplice materia inerte? L’enigma del 21 è questo: “3 tavole sorreggono il Graal, una quadrata, una rettangolare e una circolare. Il loro numero è 21”. L’enigma racchiude il segreto della quadratura del cerchio, cioè il modo di trovare una cerchio che abbia la stessa superficie di un quadrato. Operazione impossibile aritmeticamente. A noi sembra un gioco, ma per l’antichità la quadratura del cerchio significava trovare la formula per aprire la porta del cielo. Nel linguaggio dei simboli il quadrato è infatti immagine della terra e del tempo, perché 4 sono i punti cardinali, 4 gli elementi, 4 le stagioni, 4 le fasi del ciclo lunare. Il cerchio è invece simbolo e immagine della volta celeste e dell’infinito sempre uguale a se stesso.
Ci spieghi, invece, qual è, oltre ai quattro elementi conosciuti, aria acqua terra e fuoco, il “quinto elemento”?
La quinta essenza è il fluido spirituale che pervade il cosmo, è l’energia che ha trasportato la vita. In questo fluido è impressa la Parola creatrice.
Si può affermare che, la meravigliosa facciata di San Miniato, che tutti ancora oggi ammiriamo, è costruita su tali principi?
Si, come ho già detto, la facciata di San Miniato è una sinfonia geometrica, nella quale si scoprono i rapporti armonici e le principali figure geometriche che l’antichità riteneva sacre, perché portano impressa la struttura dell’universo. Vi si trova anche il segreto geometrico della quadratura del cerchio, le 3 tavole che sorreggono il Graal. E l’iscrizione latina sul pavimento di marmo ammonisce che in quel luogo esiste un’energia per la quale il tempo e lo spazio perdono le loro forze e la dimensione misteriosa dell’eternità si spalanca...
Data recensione: 19/02/2007
Testata Giornalistica: La storia in giallo
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