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L’ingegner Dante Fangaresi, 84 anni, milanese, è un bibliofilo e un amante degli ex libris. Uomo di raffinata cultura, un giorno ha trovato il tempo di raccontare dieci settimane della sua vita

Dante Fangaresi è stato deportato nell’unico campo di concentramento italiano
Bibliofilo e dalla raffinata cultura, a 84 anni racconta la sua esperienza in un libro: «Giurai che se mi fossi salvato avrei gridato al mondo il dolore».
L’ingegner Dante Fangaresi, 84 anni, milanese, è un bibliofilo e un amante degli ex libris. Uomo di raffinata cultura, un giorno ha trovato il tempo di raccontare dieci settimane della sua vita: quelle più dure da lui mai trascorse; quelle da cui non avrebbe più potuto, forse, fare ritorno alla vita. “Dieci settimane a San Sabba” è il libro dove egli racconta la sua prigionia in quello che è considerato l’unico campo di sterminio in Italia. «Fummo chiamati alle armi - rievoca - con un bando che prevedeva la pena di morte per chi non si fosse presentato. Mi recai allora al Distretto dove però ci rimandavano di tre giorni in tre giorni. Saputo che a Venaria Reale c’era il Battaglione Patrioti Davide, filopartigiano, andai a arruolarmici. Era una compagnia giunta a uno strano compromesso: tregua armata con i tedeschi e completa autonomia dai repubblichini. La cosa ha dell’assurdo, ma corrispondeva in quei momenti e in quei luoghi a un interesse reciproco. I tedeschi non subivano perdite umane e il colonnello Davide salvava i suoi. Ogni tanto un ufficiale tedesco veniva a curiosare per poi andarsene»IL BATTAGLIONE fu infine trasferito in Friuli, conservando sempre, però, quella curiosa libertà. «Il giorno in cui avremmo dovuto passare con le bande di Tito - continua il racconto - i tedeschi ci disarmarono e fecero prigionieri portandoci nella Risiera di San Sabba. Ci misero in un tetro stanzone: i muri erano pieni di nomi, date, messaggi disperati di chi ci aveva preceduti in quel luogo di sventura. Patimmo la fame e cominciarono le decimazioni: ogni giorno un’eliminazione; un terzo della gente sparì, non si sa come. Io fui fortunato. Ci accorgemmo presto che non eravamo i soli ospiti di quel lugubre edificio: sia il piano di sotto che quello di sopra erano affollati di un’umanità dolorante. Da alcune fessure ricavate fra gli interstizi delle assi del pavimento s’intravedeva un quadro penoso al piano di sotto: uomini e donne, tutti ebrei, ammucchiati nella più disperata desolazione. Ci davano notizie e i loro nomi, affinchè li comunicassimo a qualcuno nel caso avessimo un giorno riacquistato la libertà. Dall’esterno, provenienti dal garage, ci pervenivano durante la notte sinistri rumori urla, tonfi, rombi di motori. E lunghi silenzi».NEL LIBRO SI PARLA anche del particolare macabro e del sospetto che nella macelleria del luogo si preparasse un salame di carne umana. Ma il destino aveva deciso diversamente per il giovane Dante: «La scampammo accettando un arruolamento forzato. Dopo 10 settimane, con una sorta di libera uscita, io e un amico fuggimmo. A Triste una ragazza ci diede un indirizzo dove nasconderci. Riuscii a tornare a Milano, dove rimasi nascosto per più di nove mesi, fino alla Liberazione». Perchè ha raccontato dopo tanto tempo questa storia? «Per lasciare una testimonianza a futura memoria. Un desiderio sorto negli stessi giorni di San Sabba quando disperavo di poter uscire vivo e avevo giurato a me stesso che, se mi fossi salvato, avrei gridato a tutto il mondo quel che avevo provato»,
Data recensione: 28/01/2007
Testata Giornalistica: E Polis Milano
Autore: Alberto Figliolia