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«Accetto di essere nato ermetico, ma credo di essermi svolto da quell’origine» aveva detto Alessandro Parronchi in una intervista di pochi anni fa. Eppure

Insieme a Mario Luzi e a Piero Bigongiari il poeta morto ieri a novantadue anni fu tra i protagonsiti della grande stagione fiorentina degli anni Trenta e Quaranta. In seguito Parronchi, che fu anche critico d’arte, preferì seguire un percorso personale, fra l’esistenzialismo e la lezione dei classici «Accetto di essere nato ermetico, ma credo di essermi svolto da quell’origine» aveva detto Alessandro Parronchi in una intervista di pochi anni fa. Eppure il nome del poeta, morto ieri mattina novantaduenne nella sua abitazione di Firenze, appare ancora oggi indissolubilmente legato, insieme a quelli di Mario Luzi e di Piero Bigongiari, alle vicende dell’ermetismo fiorentino. Nato nel capoluogo toscano nel 1914, Parronchi apparteneva a una famiglia di notai, ma dopo il liceo classico il giovane preferì indirizzarsi verso gli studi letterari laureandosi in storia dell’arte nel 1938 (un ambito, quello artistico, che l’autore non avrebbe mai abbandonato, insegnando a lungo storia dell’arte medievale e moderna all’università di Firenze e dedicando tra l’altro numerosi studi a Michelangelo, il più celebre dei quali è intitolato «Studi sulla dolce prospettiva». Ancora giovanissimo, cominciò a collaborare con giornlisti e riviste d’avanguardia, avvicinandosi, in una Firenze che occupava allora un posto di rilievo nel dibattito culturale italiano ed europeo, al gruppo di poeti che furono annoverati nella corrente dell’ermetismo fiorentino o secondo ermetismo: Luzi e Bigongiari, in primo luogo, e poi Alfonso Gatto, Carlo Betocchi, Carlo Bo. Fu in quell’atmosfera culturale che nacque la prima racolta di poesie, «I giorni sensibili», pubblicata nel 1941 e segnata, come tutti i suoi testi successivi, da una malinconia che rappresenta la cifra della sua opera. In seguito, tuttavia, la scrittura di Parronchi si distaccò dalla lezione ermetica («ho subìto per forza quel clima, una certa astrattezza, poi non mantenuta, la ricerca di vocaboli rari» avrebbe dichiarato ormai vecchio) per percorrere strade del tutto personali le cui radici affondavano nella letteratura dell’esistenzialismo della poesia italiana. Tra i suoi titoli più famosi, «Per strade di bosco e città» (1954), «Coraggio di vivere» (1961) e «Quel che resta del giorno» del 2001, l’anno in cui gli venne conferito il premio Campana per la racolta della sua promozione uscita nel 2000 in due volumi, «Le poesie», per la casa editrice fiorentina Polistampa. Non meno intenso, però, fu il rapporto di Parronchi con poeti, artisti e scrittori del Novecento italiano, da Giorgio Morandi a Ottone Rosai, e in particolare con Vasco Pratolini, con il quale intrecciò un lungo carteggio in cui viene raccontata la vita, le gioie e i dolori d’una genrazione passata attraverso il fascismo e la Resistenza.
Data recensione: 07/01/2007
Testata Giornalistica: Il Manifesto
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