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È diventato editore perché non c’era il tram. È nato a Lecore, frazione di Signa, e quand’era ragazzo non c’era ancora l’autobus per andare a Prato o a Firenze. Così, per farlo studiare, i

È diventato editore perché non c’era il tram. È nato a Lecore, frazione di Signa, e quand’era ragazzo non c’era ancora l’autobus per andare a Prato o a Firenze. Così, per farlo studiare, i genitori lo misero in collegio dai Salesiani in via Fra’ Giovanni Angelico. Gli alunni dovevano scegliere tra fare il calzolaio, il sarto, il rilegatore di libri, il pellettiere o il tipografo.
Il prefetto del collegio, una sorta di preside, glieli snocciolò quei nomi, allungando una ad una le dita della mano, fino a quando Mauro, quel ragazzo di campagna che aveva 12 anni, indicò senza esitazione il mignolo, che voleva dire tipografo.
“Lo scelsi, perché gli altri mestieri non mi piacevano”. Da allora non è passato giorno che Pagliai non abbia messo piede in una tipografia.
A 15 anni diventò apprendista alla tipografia il Cenacolo, in via 27 aprile, di Bruno Ortolani, “un grande maestro”, lo ricorda l’ex allievo. Facevano giornali e libri per Le Monnier e altri e Mauro Pagliai, che oggi è diventato la rivelazione dell’editoria a Firenze (è secondo solo a Giunti), rammenta il primo libro che all’età di 17 anni stampò da solo. “Fu “Santi all’inferno” di Mario Graziano Parri, editore il Fauno”. Inutile dire che ne conserva gelosamente una copia.
A 22 anni mise su una tipografia in via de’ Serragli e la chiamò Polistampa, perché faceva di tutto, dai biglietti da visita in su. Quest’anno quel nome compie 40 anni. Stampavano settimanali, libri, un’intensa attività che consentì a Pagliai di conoscere editori e autori, come Parrochi, Luzi, Giorgio Luti, Bigongiari. Ora quella stamperia in via de’ Serragli è diventata il “museo personale” di Pagliai e i vecchi banchi, neri d’inchiostro, con i caratteri di piombo, sono ancora lì. “Non la venderò mai”, dice.
Poi, ingrandendosi, l’azienda si trasferì in via Santa Maria, nel prestigioso palazzo, che fu l’atelier di Pio Fedi, lo scultore che nell’800 scolpì – la si può ammirare nella basilica di Santa Croce – la statua dalla quale fu copiata la statua Libertà, diventata simbolo dell’America e dei suoi ideali. “Ecco – sottolinea con orgoglio Pagliai – la statua originaria è stata scolpita proprio qui, dentro questo palazzo di San Frediano”.

Gli editori si dividono in tre categorie, quelli che sono nati come tipografi, come Vallecchi e Mondadori, quelli che sono partiti come librai vedi Le Monnier, la casa editrice venne poi acquistata dai Paoletti, che erano tipografi e poi ci sono gli editori che vengono dal mondo della cultura come Einaudi o il filosofo Gentile che aveva la Sansoni. Mauro Pagliai fa parte del primo gruppo e in qualche modo è l’ erede dei Vallecchi o almeno a loro si sente vicino.
Il più grosso tuffo al cuore che ricorda è legato alla stampa dell’epistolario Pratolini Parrochi. “Quando Parrochi me lo propose, eravamo sul marciapiede qui di fronte in via Santa Maria, mi liquefeci”. Una specialità della casa è la qualità e la pregevolezza delle edizioni e il massimo è stato forse raggiunto con la pubblicazione del diario autografo dell’Alfieri, il cui originale è alla Laurenziana. Ne sono state tirate 1000 copie. Un’altra pregevole opera sono gli scritti giornalistici di Giovanni Spadolini ed è stata personalmente presentata da Pagliai al presidente Ciampi.
Perché i committenti scelgano questo editore fiorentino è dovuto al fatto che a differenza di altri, “tecnicamente conosce tutto di tipografia”. Su questi principi artigianali l’ex apprendista, che da Lecore veniva a lavorare in Oltrarno in bicicletta, ha costruito un piccolo ma importante regno, che da poche decine di opere è arrivato l’anno scorso a mettere in catalogo 220 titoli.
Un fenomeno nato anche dalla crisi di Firenze, che una volta era centro editoriale di livello nazionale e poi è decaduto con la chiusura o il trasferimento delle sue case editrici.
Pagliai, che non solo fa libri ma s’è messo anche a organizzare mostre, come quella su Fosco Maraini, La Pira o Arnolfo Di Cambio, ha occupato lo spazio rimasto vuoto.
La sua affidabilità, il suo istinto, la sua velocità nello sposare le nuove tecnologie, la sua agilità , l’attivismo e, perché no?, anche la simpatia e il senso per gli affari, hanno fatto il resto. Stacca solo il fine settimana, per fare il contadino della domenica. Non ha mai smesso di essere un ragazzo di San Frediano.
Data recensione: 03/04/2005
Testata Giornalistica: La Nazione
Autore: Giovanni Morandi