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L’Istituto Storico della Resistenza in Toscana ha promosso la pubblicazione delle memorie di Max Boris, militante antifascista, attivo nella Resistenza, deportato a Mauthausen e infine

L’Istituto Storico della Resistenza in Toscana ha promosso la pubblicazione delle memorie di Max Boris, militante antifascista, attivo nella Resistenza, deportato a Mauthausen e infine nominato ultimo presidente del Comitato toscano di liberazione nazionale. Il materiale biografico da cui è ricavato il testo è tratto dal risultato di più conversazioni avute da Boris nel corso del 2005 con Simone Neri Serneri, professore di storia contemporanea all’Università di Siena.
Ma Boris era nato a Venezia nel 1913 e pochi anni dopo si era trasferito con la famiglia a Firenze. Proveniva da una famiglia borghese benestante di ascendenze napoletane che in seguito a difficoltà economiche, a partire dall’inizio degli anni Venti, aveva perso tutto e si era trovata a vivere in ristrettezze. Il giovane Max, dal carattere ribelle che mal si conformava alle impostazioni del regime fascista, cominciò presto ad avvertire il peso crescente degli obblighi costituiti dal presentarsi alle sessioni d’esame all’univeristà in camicia nera o dal seguire il corso premilitare al punto che, ricorda, «soffrivo tutti i giorni della costrizione alla quale eravamo obbligati [...] Io l’ho sentito proprio come una sofferenza e ho sentito proprio una liberazione, direi quasi polmonare, quando è finita la dittatura: ho potuto respirare liberamente» (p. 13).
Fondamentale, pur nella sua casualità, come tiene a precisare lo stesso Boris, fu la frequentazione del gruppo speleologico fiorentino che faceva riferimento alla locale sezione del Club Alpino Italiano; qui, insieme ad amici destinati a brillanti carriere come il fisico Giuseppe «Beppo» Occhialini, Borsi fu formato alla lettura di Freud e dei classici della letteratura, e attraverso un amico comune, potè fare la conoscenza di Tristano Codignola, Enzo Enriques Agnoletti e Carlo Furno che rappresentavano l’asse attorno a cui, a Firenze, ruotava il movimento liberalsocialista di Calogero e Capitini, che Boris incontrò a Perugia grazie a Occhialini.
Man mano che il regime si rafforzava, l’atteggiamento di Boris cambiava, e da una iniziale presa di distanza dal regime sotto il segno di un indistinto spirito di ribellione, passava ad una militanza consapevole sotto le bandiere del liberalsocialismo, e poi del Partito d’Azione del cui congresso di Firenze del 1943 ricorda come «vi furono molti interventi e mi resi conto che non tutte le tendenze erano omogenee, il collante per tutti era l’antifascismo, ma quanto alla costruzione del futuro le prospettive erano diverse. [...] Quello che teneva in piedi tutto era ‘l’anti’, lo scopo che si voleva raggiungere era cacciare i tedeschi e i fascisti, finire la guerra» (p. 41).
Successivamente, dopo l’armistizio, Boris ha la responsabilità del comitato militare del Pd’A e si occupa di raccogliere le armi e nasconderle in montagna; nello stesso tempo si trova coinvolto in azioni di sabotaggio ai danni di infrastrutture come ponti e linee ferroviarie. Alla domanda di Neri Serneri sull’uso che sarebbe stato fatto delle armi sottratte dalle caserme, Boris risponde che forse erano destinate ad azioni offensive contro tedeschi e fascisti da realizzare più avanti, ma che personalmente «sono talmente pacifista che ho fatto tutta la guerra partigiana senza tirare un colpo di rivoltella».
Col passare del tempo sarà impegnato a ricevere gli aviolanci alleati sul Monte Giovi. Tutto questo fino al 26 febbraio 1944 quando viene arrestato e trasferito a Villa Trieste; dopo tre giorni di interrogatori viene portato al carcere delle Murate. Riesce e negare tutto anche se, dice, «giustifico quelli che non ce l’hanno fatta, ma penso che la abbiano pagata molto cara, perchè poi per tutta la vita non si sono perdonati» (p. 68).
Interessante è la giustificazione che Boris dà dell’assassinio di Giovanni Gentile ad opera del gappista Bruno Fanciullacci; contrariamente alla posizione espressa dalla maggior parte degli azionisti fiorentini che all’epoca dei fatti condannarono l’episodio, Boris lo approva ritenendo Gentile uno dei mandanti morali delle nefandezze compiute dal fascismo repubblicano, anche se ammette che l’azione «avrebbe potuto aver conseguenze molto gravi per noi che eravamo in prigione» (p. 69).
Dalle Murate viene inviato al campo di Fossoli, dal treno che lo porta in Germania riesce fortunosamente a scappare, quindi, nuovamente catturato viene inviato a Innsbruck e quindi al campo di concentramento di Mauthausen dove arriva il 1° luglio 1944.
Le pagine dedicate all’esperienza del lager sono per molti aspetti tra le più iteressanti. Boris ricorda come, nell’universo concentrazionario, per ciascuno l’incertezza sulla propria sorte regnasse sovrana acuendo così il senso di spossessamento di sè che con la separatezza dal resto del mondo contribuiva a determinare uno stato d’animo di angoscia che le pagine di Primo Levi hanno saputo restituire come poche altre. Naturalmente Boris fa cenno anche ad elementi più prosaici destinati a pesare sulla sopravvivenza nel campo come evitare le punizioni, cercare di guadagnarsi la fiducia delle guardie, riuscire a sottrarre una razione di cibo che poteva fare la differenza fra vivere e morire.
Liberato dagli americani torna a Firenze, dove riprende contatto con gli ambienti azionisti, anche se riconosce che dopo la scissione del febbraio 1946, il Pd’A nella sua maggioranza «è rimasto molto a sinistra, e non si è reso conto che a sinistra non c’è più posto» (p. 115). Dopo la scissione e le dimissioni di Boniforti da presidente del CTLN, il Pd’A lo nomina al suo posto in quella carica il 22 febbraio 1946 che mantiene fino alle elezioni politiche del 2 giugno. Lentamente la sua vita riprende a correre lungo i binari della normalità, anche se ammette, come molti altri reduci dal lager, di essere stato colto da una sorta di afasia che gli impedirà per molti anni di aprire il libro dei ricordi facendoci partecipi di un’esperienza di vita non comune.
Data recensione: 01/12/2006
Testata Giornalistica: Rassegna storica toscana
Autore: Andrea Becherucci