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Anna Banti nella sua monografia ha definito nel 1977 un percorso critico destinato a larga fortuna, che vuole Giovanni...

Anna Banti nella sua monografia ha definito nel 1977 un percorso critico destinato a larga fortuna, che vuole Giovanni da San Giovanni, al secolo Giovanni Mannozzi (1592-1636), come “pittore della contraddizione”, rilevando nell’artista un’opera percorsa da forti tensioni emotive. Roberto Longhi in un articolo assai precoce del 1916 dichiarava il suo interesse per l’artista, di cui accertava il talento all’interno della gabbia di un ambiente che lo limitava. Nel momento in cui il Seicento Fiorentino era in disgrazia presso gli storici dell’arte, Ugo Ojetti esponeva una ampia selezione di sue opere nella celebre mostra sul Seicento a Palazzo Pitti nel 1922.
Bizzarria, umore, temperamento estroso sono termini comuni del lessico critico dedicato a questo artista, a partire dalla descrizione di Filippo Baldinucci nelle Notizie dei professori del disegno. Altrettanto diffuso il riconoscimento per una capacità tecnica notevolissima, che gli permise di realizzare in pochi giorni la strepitosa decorazione della facciata del Palazzo dell’Antella a Piazza Santa Croce a Firenze, tra 1619 e 1620.
Ora la sua città natale, San Giovanni Valdarno, dedica al Museo delle Terre Nuove e al Museo della Basilica di Santa Maria della Grazie, all’interno del progetto delle Terre degli Uffizi, una esposizione dal titolo, che evoca le definizioni citate, Bizzarro e capriccioso umore, a cura di Silvia Benassai, Cristina Gnoni Mavarelli, da poco scomparsa, e Valentina Zucchi (che curano anche il catalogo omonimo, Firenze, Polistampa, pagg. 208, € 25), mentre Michela Martini cura la parte della Basilica. L’esposizione precedente, del 2011, aveva scelto come proprio motto Quiete, invenzione, inquietudine.
L’artista viene sempre narrato come preda di un vento intessuto di capriccio e desiderio, che lo porta a sperimentare soluzioni formali inedite. Giovanni fu soprattutto pittore di affreschi, con numerose varianti, e una predilezione per le forme piccole e trasportabili, come dichiaravano al suo tempo i suoi estimatori, che lo reputavano eccellente nella tecnica della pittura a bianco di calce. Magnifica nella sua produzione è la serie prodotta per la villa della Quiete a Firenze, in cui Cristina di Lorena lo affiancò al poeta iconografo Alessandro Adimari.
Il pittore si cimentava felicemente anche nella scrittura poetica, prediligendo la dimensione bernesca, la satira, la parodia. In mostra spicca La pittura che dipinge la fama, affresco su terracotta, che faceva parte della strepitosa collezione del Gran Principe Ferdinando de Medici, che viveva ritirato dal padre Cosimo III, in una sua clamorosa corte a Poggio a Caiano, dove erano artisti di corte Giuseppe Maria Crespi e Alessandro Magnasco. La visione nasce da una personale rivisitazione della Iconologia del Ripa. «La pittura quale esercitio nobile, non si potendo fare senza molta applicazione dell’intelletto», garantisce il raggiungimento della fama.
Magnifici sono anche gli affreschi su stuoia (detti in fiorentino dell’epoca “le paniere”), tecnica di cui Giovanni da San Giovanni era la massima autorità, commissionati da Don Lorenzo dei Medici, di cui è in mostra un ritratto attribuito a Justus Sustermans, che lo raffigura con abito nero e un gran collare di pizzo alla spagnola. Le opere, apprezzatissime perché uno «poteva portarle dove voleva», erano state create per la villa della Petraia nel decennio 1630. I soggetti sono classici, a parte Susanna e i vecchioni. Nella sequenza è notevolissimo Aurora e Titone, di cui è in mostra anche un disegno preparatorio, con figure dal movimento curvo. Per la villa di Pratolino erano invece altre due paniere, un Sileno ebbro e il magnifico Scena di evirazione, in cui quattro ninfe indemoniate amputano un satiro legato a un albero, a cui aveva prestato le fattezze il nano di corte Janni. Diana ed Endimione, sempre dipinto su embrice di terracotta e appartenente alla collezione di Piero Bigongiari, ora conservata presso la Fondazione Pistoia Musei. Sempre su terracotta è l’incantevole Ballo di amorini, che proviene dal territorio di Castello, presso Firenze, dove l’artista aveva affrescato la Villa del Pozzino del ricco speziale Giovan Francesco Grazzini, con storie tratte da L’asino d’oro di Apuleio. Magnifica è anche la Testa di giovane (1635). Di grande forza è pure l’affondo realistico nel notevole La mensa dei poveri, tempera su cartoncino, che raffigura la distribuzione quotidiana di minestra in un pio istituto fiorentino, con esiti non lontani da un bel disegno, esposto in mostre precedenti a San Giovanni, su Il miracolo dei muratori salvati dalla Madonna della Fontenuova a Monsummano (Pistoia), in cui si celebra il salvataggio di due muratori caduti da una impalcatura. Il repertorio di figure sono tutte portate da un estro pittorico notevolissimo, rendendo giustizia alla nozione di capriccio che tante volte gli è associato, ma collocando Giovanni da San Giovanni tra gli artisti più notevoli del Seicento italiano.
Data recensione: 26/11/2023
Testata Giornalistica: Il Sole 24 Ore
Autore: Luca Scarlini