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Nel 1921, per celebrare i seicento anni dalla morte di Dante Alighieri, la Società Dantesca Italiana pubblicò la prima edizione

Nel 1921, per celebrare i seicento anni dalla morte di Dante Alighieri, la Società Dantesca Italiana pubblicò la prima edizione completa, in un solo volume, delle opere del grande poeta: un evento epocale, che è stato di grande aiuto sia per gli specialisti che per i comuni lettori, in Italia e altrove. Adesso, un anno dopo il settecentesimo anniversario della morte di Dante, la Società Dantesca pubblica la prima edizione in inglese delle sue opere complete, con i testi originali affiancati: il primo Dante integrale bilingue, nella lunghissima tradizione editoriale dell’opera dantesca. Il risultato sarà quello di portare l’opera di Dante a contatto della più vasta platea di pubblico possibile, e, prevedibilmente, di stimolare ulteriormente gli studi danteschi, nonché di affascinare nuovi lettori in tutto il mondo.
Il primo e più evidente vantaggio di questa edizione è di presentare l’opera di Dante profittando delle più autorevoli edizioni critiche ad oggi disponibili. Ciò significa che questi due volumi hanno potuto incorporare il testo della Commedia recentemente allestito a cura di Giorgio Inglese, insieme ai testi del Fiore e del Detto d’amore curati da Paola Allegretti, nessuno dei quali era stato possibile includere nell’ultima edizione complessiva delle opere del poeta, prodotta dalla Società Dantesca nel 2012. Naturalmente, la filologia e gli studi danteschi continuano ad avanzare, e nessuna edizione può pretendere di essere quella definitiva. Tuttavia, al momento attuale, sia i lettori italiani, sia quelli inglesi che vorranno avventurarsi nei testi originali sotto lo stimolo della traduzione possono contare sul fatto che, al miglior stato attuale delle nostre conoscenze, le parole dantesche che avranno sotto gli occhi sono quelle in effetti scritte, in quella forma, dal grande poeta.
Il secondo grande vantaggio di questi volumi è la presentazione al vasto pubblico di lingua inglese (un pubblico davvero globale) dell’intero corpus di questo autore universale: la poesia e la prosa, le opere in italiano e le opere in latino. I curatori hanno incluso infatti tutto il materiale di sicura autenticità dantesca insieme a titoli di meno certa autorità, come le rime solo attribuite a Dante e il controverso Fiore, un lavoro giovanile secondo alcuni, secondo altri opera di un anonimo contemporaneo del poeta.
Il pubblico di lingua inglese non ha mai avuto finora l’opportunità di accostare – e di apprezzare – l’intero mondo creato dalla penna e dall’immaginazione dantesca. È un mondo di stupefacente respiro – dall’introspezione analitica della Vita nova al pensiero critico del De vulgari eloquentia, dal ‘dialogo’ poetico delle Rime, così aperte al confronto competitivo con i suoi pari, alla potenza inventiva e all’afflato inesausto della Commedia – e adesso tutto questo universo ci viene in mano in un’edizione di grande eleganza, tanto piacevole all’occhio, quanto maneggevole e, se non proprio ‘portatile’, di facile, confidenziale accesso.
Naturalmente il pregio di ogni traduzione risiede nel grado in cui l’originale, con il suo contenuto, con le sue implicazioni di significato, col suo tono particolare, viene ‘trasferito’ nella lingua di destinazione. Sotto questo aspetto l’inglese offerto dai vari traduttori utilizzati in questa dedizione per la maggior parte riescono con successo a presentare al lettore straniero un Dante riconoscibile, paragonabile all’originale. In particolare, una delle scelte che ogni traduttore del Dante poeta deve compiere è se imitare o no lo schema metrico e le rime, che hanno un ruolo così spiccato nella sua opera in versi. Quando si pensa alla Commedia, non si può non pensarla inestricabilmente legata alla sua terza rima, e anche le altre poesie di Dante – sonetti, canzoni – presentano com’è noto esercizi di rima particolarmente elaborati. Ogni approccio – riprodurre la rima o ignorarla – ha i suoi vantaggi e svantaggi. Per esempio, fra gli undici diversi studiosi dei quali i curatori hanno scelto di avvalersi, Patrick S. Diehl (per parte delle Rime) e Andrew Frisardi (per la Vita nova e altre rime) hanno optato per ripetere precisamente lo schema metrico e rimico degli originali, mentre Richard Lansing (per altra sezione consistente delle Rime) ha scelto di evitare del tutto la rima. Le versioni rimate certamente permettono al lettore di sentire la concatenazione di suono che lega i versi dell’originale, e il loro effetto acustico cumulativo crea un impatto pressoché viscerale: ma spesso, e necessariamente, si devono distaccare da una stretta aderenza al testo d’autore, e non di rado danno luogo a forzature sintattiche.
Le versioni non rimate dal canto loro risultano per definizione ‘prosaiche’, ma sono in genere più fedeli ad una riproduzione ad litteram, parola per parola, dell’italiano, e suonano più idiomatiche in inglese. In generale, in questi volumi trovo più soddisfacenti le traduzioni che non cercano di rispettare la rima, anche se si dovrà riconoscere che la perdita è comunque, in questo caso, considerevole – d’altronde questa è la scelta di Robert M. Durling nella sua traduzione (coronata da grande successo nel mondo inglese) di quella che egli ha intitolato The Divine Comedy of Dante Alighieri.
La versione letterale della Commedia da parte di Robert Durling non segue né lo schema delle rime né il metro del grande poema dantesco, ma è chiara, accurata, ed elegante nella sua dizione. Per esempio, ecco la sua resa della famosa scena della scomparsa di Virgilio, in Purgatorio XXX:

But Virgil had left us deprived of himself
Virgil, most sweet father,
Virgil, to whom I gave myself for my salvation –,
nor did everything our ancient mother lost suffice
to prevent my cheeks, though cleansed with dew,
from turning dark again with tears.

(Ma Virgilio n’avea lasciati scemi
di sé, Virgilio dolcissimo patre,
Virgilio a cui per mia salute die’mi;
Né quantunque perdeo l’antica matre
valse a le guance, nette di rugiada,
che lacrimando non tornasser atre.)

È vero: Durling non ci dà alcuna idea delle rifrazioni musicali dell’originale, ma anche senza rime e senza terzine egli ci comunica il senso del suo tono, del suo ritmo ipnotico, e il risultato è allo stesso tempo di trasparente chiarezza ed emotivamente coinvolgente. Nessun curatore di Dante può permettersi di fare un errore quando si tratta della Commedia, e la felice decisione di usare la traduzione di Durling è una delle virtù dei volumi in questione.
Il ‘tutto Dante’ curato da Paola Allegretti e Riccardo Bruscagli ha dunque tanto da offrire, ma va osservato che non contiene alcun tipo di apparato testuale, o di annotazioni esplicative (salvo quelle ricavabili dal copioso indice finale). La ragione è ovvia, dato che le quasi duemila pagine di cui si compone questa edizione dovrebbero moltiplicarsi per due, o per tre, volendo accogliere tali informazioni. Chi vorrà delucidazioni filologiche sui testi potrà rivolgersi alle edizioni originali, sia dei testi danteschi sia delle traduzioni utilizzate, debitamente registrate in capo a questi volumi; chi sente bisogno di note esplicative ha a disposizione, naturalmente, un vasto raggio di opzioni. In particolare, per il pubblico inglese i volumi di commento che accompagnano la traduzione della Commedia da parte di Charles Singleton rappresentano tuttora il migliore aiuto per una comprensione approfondita del testo maggiore di Dante.
Ogni traduzione di un grande poeta, e specialmente di un poeta così musicale e così raffinato come Dante, è fatta per suscitare obiezioni. L’atto stesso del ‘tradurre’ si presta – e si è prestato – a infinite questioni di principio. Samuel Johnson, il grande critico letterario del Settecento inglese, dichiarò seccamente che «poetry cannot be translated». E Dante stesso pronunciò più o meno lo stesso giudizio, affermando che la poesia non può essere ‘trasmutata’ in un’altra lingua senza perdere la sua dolcezza e armonia («[…] nulla cosa per legame musaico armonizzata si può della sua loquela in altra trasmutare, senza rompere tutta la sua dolcezza e armonia»). Tuttavia ogni autore di portata universale può divenire tale solo se può sopravvivere e perfino prosperare in traduzione; ogni autore il cui lavoro duri attraverso i secoli è destinato ad essere letto sempre meno nella sua veste linguistica d’origine. Coloro che oggi leggono Omero nell’originale greco sono pochi, e quelli che hanno letto l’epica di Gilgamesh in cuneiforme babilonese, ancora meno. Fortunatamente, Dante è uno di quegli autori il cui soggetto è così commovente e la cui voce ha un carattere così irresistibilmente individuale che egli conserva il suo fascino anche dopo essere stato ‘trasmutato’. Questa traduzione della sua intera opera di scrittore in quella moderna lingua franca che oggi è l’inglese di sicuro aumenterà la sua forza di penetrazione ed estenderà la sua presa sul pubblico come mai prima d’ora. Il sommo poeta è morto settecento anni fa, ma – anche attraverso imprese come questa – continua a vivere.

George Bradley [Traduzione dall’inglese a cura di Christine Herring]
Data recensione: 01/01/2023
Testata Giornalistica: Nuova Antologia
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