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Nel 1902 il critico francese Gustave Soulier visitò e recensì l’Esposizione d’arte decorativa moderna di Torino salutando

Nel 1902 il critico francese Gustave Soulier visitò e recensì l’Esposizione d’arte decorativa moderna di Torino salutando con entusiasmo il rilancio delle arti applicate italiane sulla scena internazionale. Tale giudizio positivo sarebbe stato poi ripetuto l’anno successivo per la Quinta esposizione internazionale di Venezia dove il critico non mancò di riconoscere il ritrovato posto della penisola «à la tête du mouvement artistique». In entrambe le occasioni Soulier ebbe modo d’imbattersi nella manifattura della società L’arte della Ceramica, fondata dall’artista Galileo Chini. Dell’opera di quest’ultimo divenne un ammiratore, contribuendo anche al catalogo della sua prima personale francese del 1931.
Compio ricerche su Soulier ormai da cinque anni e sono dunque lieto che a queste vicende – assieme a molte altre – sia stato dato il loro meritato spazio nel recente libro Galileo Chini. Un artista della ceramica tra la Toscana e l’Europa di Daniele Galleni. L’autore è un serio studioso formatosi tra la Scuola Normale Superiore e l’Università di Pisa, con all’attivo già vari saggi sulle arti decorative italiane tra Otto e Novecento, con particolare attenzione per l’attività dell’Atelier Coppedè e lo stesso Chini. Il volume (di grande formato e ampiamente illustrato) è pensato principalmente come catalogo delle opere della collezione privata di Carlo Bardelli. Il suo valore è però ulteriormente accresciuto grazie alla scelta d’introdurre le schede con un saggio di due capitoli il cui fine è quello di analizzare la «ricezione» internazionale, soprattutto europea, di Chini.
Proprio il caso di Soulier, dunque, sembra particolarmente adatto a introdurre gli obiettivi di questo lavoro, non solo perché gli vengono dedicate – come già detto – alcune pagine significative, ma soprattutto per il ruolo esemplare avuto dal critico nell’apprezzamento dell’arte di Chini fuori dai confini italiani. Come Soulier – che aveva contestato la presunta subalternità delle arti decorative italiane moderne – anche Galleni ribalta il punto di vista geografico, e assieme a esso anche certe narrazioni dure a morire, riflettendo sull’«innegabile posizione di rilievo» di Chini nel panorama europeo, anche in quelle aree in cui la concorrenza fu spietata (come la vicina Francia). Negli ultimi anni Chini è stato oggetto di un sempre crescente numero di pubblicazioni ed esposizioni: è ormai chiaro il ruolo di primo piano che l’artista ebbe nel definire il gusto nel passaggio dal Liberty al Déco, operando una sintesi tra tradizione e modernità, naturalismo e decorativismo. Sebbene non siano mancati già alcuni approfondimenti nella direzione dell’indagine di Galleni (d’altronde, come ricorda lo studioso, il titolo del volume è ispirato a un saggio di Gilda Cefariello Grosso), il suo studio arricchisce notevolmente il panorama, compiendo una puntuale ricognizione archivistica e apportando alcune nuove acquisizioni storiche e critiche che possono stimolare altrettante nuove riflessioni.
Nel primo capitolo del suo saggio d’apertura Galleni si rivolge soprattutto a quei canali concreti mediante i quali l’arte di Chini venne ‘pubblicizzata’ fuori dai confini nazionali, concentrandosi sulle esposizioni, sugli acquisti museali, sui rapporti personali dell’artista, sui giudizi dei critici e della stampa, gettando così luce su un foyer fatto anche di nomi e attori spesso poco noti. Nel secondo capitolo, invece, lo studioso si focalizza sulle sole Biennali di Venezia: altre importanti vetrine che fecero la fama di Chini. Segue, a testimonianza della circolazione delle opere dell’artista, il corposo catalogo composto da 156 schede di opere (quasi tutte provenienti dalla collezione Bardelli) suddivise in base alle varie manifatture dirette da Chini o con le quali collaborò (l’Arte della Ceramica, Fontebuoni, Fornaci San Lorenzo). Le schede, particolarmente esaustive, presentano un’ampia casistica di prodotti, non «soltanto i capolavori creati dalla fervida fantasia dell’artista fiorentino », come chiarisce Galleni, «ma anche la produzione più comune a partire dai vasi in grès dalla decorazione semplice (ma dalla ottima fortuna commerciale) per arrivare agli oggetti di uso quotidiano» (p. 12). Conclude il libro una preziosa appendice fotografica con immagini d’epoca dall’archivio Chini.
Considerando il volume da un punto di vista prettamente metodologico, particolare attenzione merita la riflessione sulla questione della «ricezione»: termine che sembra assumere per l’autore un’accezione specifica quale sinonimo di storia della fortuna o dell’«apprezzamento». L’intera narrazione viene articolata cronologicamente attorno agli eventi espositivi quali momenti determinanti per verificare l’efficacia dell’azione artistica e commerciale di Chini in relazione alla risposta del pubblico, della critica e del mercato. Ne emerge un quadro complesso, ed è dunque un peccato che l’autore non abbia tentato anche di presentare e leggere i dati seguendo altre griglie analitiche o nuclei problematici (includendo maggiormente anche altri fattori culturali, sociali, politici). Un percorso più libero attraverso i fenomeni di response avrebbe forse permesso di mettere meglio in risalto alcune delle acquisizioni di rilievo di questa indagine che tenta di definire e differenziare quel pubblico, «vasto e cosmopolita, spesso facoltoso », che fece la fortuna dell’artista. Galleni riflette, ad esempio, sull’orizzonte culturale di figure come Soulier o Henry Cochin, contribuendo a delineare quella corrente estetica che, attraverso l’interesse per la storia dell’arte toscana medievale e rinascimentale, vide in Chini il continuatore della tradizione. O ancora, attraverso lo spoglio delle vendite delle Biennali, l’autore penetra nel mondo di un pubblico più amorfo del quale veniamo a scoprire la predilezione per le opere di prezzo più contenuto.
Non si può comunque biasimare Galleni dell’aver scalfito una questione così ampia e a volte difficilmente sondabile, prendendo le mosse da una solida indagine documentaria, che cerca di comprendere pragmaticamente e cronologicamente le strategie e le vicende che portarono Chini, partendo dalla Toscana, ad affermare la sua arte in Europa. Da questa base si potrà pur sempre ripartire, non eludendo l’importanza dei problemi posti da Galleni e l’intreccio da lui sapientemente intessuto, ma ripercorrendone i fili e allargandone le maglie. 
Data recensione: 01/04/2023
Testata Giornalistica: Nuova Antologia
Autore: Daniele Di Cola