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È il primo pomeriggio del 3 novembre 1966 quando, dopo alcuni giorni di piogge intense e ininterrotte, l’Arno inizia la sua corsa devastante verso Firenze; in quelle ore nessuno si rende

È il primo pomeriggio del 3 novembre 1966 quando, dopo alcuni giorni di piogge intense e ininterrotte, l’Arno inizia la sua corsa devastante verso Firenze; in quelle ore nessuno si rende conto del dramma che la città sta per subire mentre, per una strana coincidenza, al cinema-teatro Verdi si proietta il film «La Bibbia» di John Huston con le impressionanti scene del diluvio universale. Non esisteva allora in Italia un quartier generale della protezione civile, né un’altra struttura in grado di monitorare l’evolversi di una situazione di crisi. Il fiume Arno, a monte di Firenze e dentro la città, non era nemmeno classificato in una delle categorie a rischio idraulico previste dalla legge; la memoria delle antiche alluvioni, dalla grande piena 1177 in poi, era custodita soltanto negli archivi storici. All’alba del giorno dopo il fiume rompe gli argini in città, l’acqua inonda le strade e sale fino ai primi piani delle case: una targa, posta in via dei Neri nel quartiere di Santa Croce ricorderà il punto più alto raggiunto dalla piena, 4 metri e 92 centimetri. Musei, chiese, luoghi d’arte sono allagati: l’acqua entra in Palazzo Vecchio, nel Duomo, nel Battistero, sventra le botteghe degli orafi sul Ponte Vecchio, procurando gravi danni anche al soprastante Corridoio Vasariano. Il Crocifisso di Cimabue della Basilica di Santa Croce, gravemente danneggiato dall’acqua e dal fango, diventa simbolo della tragedia che colpisce non solo la popolazione, ma anche l’arte e la storia. Su Firenze si rovescia una massa di quasi 700milioni di metri cubi d’acqua, che copre un’area di 3mila ettari. Le acque si ritireranno due giorni dopo: ventinove i morti, decine i dispersi, 5mila i senzatetto: la città, senza energia elettrica, resta al buio e al freddo. Il sindaco Bargellini. Gli orologi elettrici di tutta Firenze si fermano alle 7.29 del mattino, dopo che l’energia era già saltata in alcune zone nel corso della notte. Dalle strade laterali un fiume d’acqua scorre verso piazza del Duomo con il suo carico di nafta, tronchi d’albero, segnaletica stradale, panchine, automobili e altri oggetti che la corrente trascina con sé. Il Battistero è investito da ondate violentissime. Agli Uffizi dodici persone in tutto cercano di salvare capolavori d’arte dal valore inestimabile. A mezzogiorno di quel 4 novembre - allora giornata festiva in Italia - il capo dello Stato Giuseppe Saragat depone una corona al milite ignoto a Roma, il presidente del Consiglio Aldo Moro è invece al sacrario di Redipuglia: entrambi non sanno ancora nulla dell’alluvione e saranno informati circa un’ora dopo. A Firenze, dal ponte radio dell’Ansa, il sindaco Piero Bargellini lancia l’allarme, invitando i cittadini alla calma e sollecitando «chi ha barche, canotti, battelli di farli affluire in Palazzo Vecchio». Ma nei giorni seguenti, pur nella costernazione per l’immenso disastro, nasce uno spirito di solidarietà che coinvolge non solo i fiorentini, ma anche volontari provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo: si comincia a spalare il fango, a distribuire i viveri e, con grande spirito di sacrificio, migliaia di giovani si dedicheranno a recuperare dal fango i quadri, i libri, le opere d’arte, dando un contributo importante per salvare il patrimonio artistico di Firenze, così gravemente danneggiato dall’alluvione.
Data recensione: 02/11/2006
Testata Giornalistica: IlSole24ORE.com
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