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Cuore pulsante della vita spettacolare medicea tra l’ultimo scorcio del Seicento e i primordi del secolo successivo

Cuore pulsante della vita spettacolare medicea tra l’ultimo scorcio del Seicento e i primordi del secolo successivo, il teatro di Pratolino è rimasto per lungo tempo al margine degli interessi della storiografia teatrale. La causa di tale indifferenza va almeno parzialmente cercata nella sua breve attività: inaugurato nel 1684 con Lo speziale in villa di Giovanni Cosimo Villifranchi e ampliato già nel 1687, venne chiuso nel 1710 e progressivamente smantellato dai funzionari granducali fino al 1822, quando Ferdinando III di Lorena decise di abbattere la villa che lo aveva ospitato.
Pratolino fu un teatro elitario, riservato a un pubblico selezionato di invitati a cui offriva per un mese all’anno – dalla metà di agosto alla metà di settembre – recite operistiche di altissimo livello. Fu un vitale crocevia di artisti e tendenze nell’Italia barocca e ospitò sul proprio palcoscenico apparatori, musicisti e interpreti di prima qualità. Il buffo Giovanni Battista Cavana, il castrato Matteo Sassi, il soprano Maria Maddalena Musi, i compositori Giacomo Scarlatti e Giacomo Antonio Perti sono solo alcuni dei nomi di famosi “forestieri” che si affiancarono agli artisti “locali”, creando non solo eccellenti spettacoli, ma anche una felice occasione di incontro e aggiornamento che contribuì a tenere alto il nome del granducato nel circuito operistico italiano. Merito del Gran Principe Ferdinando de’ Medici, al cui nome è strettamente legata la fortuna di Pratolino. Raffinato mecenate e collezionista, incarnò uno degli esempi più alti di quella vocazione allo spettacolo che per oltre tre secoli caratterizzò la sua famiglia.
All’indiscusso artefice della spettacolarità dinastica a cavallo tra Sei e Settecento Leonardo Spinelli aveva già dedicato un precedente volume, Il principe in fuga e la principessa straniera. Vita e teatro alla corte di Ferdinando de’ Medici e di Violante di Baviera (1675-1731). In quella occasione l’autore aveva dimostrato come l’invidiabile “scuderia” di cantanti e musicisti che l’“Orfeo dei principi” ebbe al suo servizio fin dai primi anni Ottanta del Seicento non fu, come in passato, un instrumentum regni, ma un simbolo personale di prestigio e ostentazione. Tali indagini sono un insostituibile fondamento per comprendere molte delle scelte artistiche operate da Ferdinando in quello che fu, assieme al teatro delle Commedie di Livorno, uno dei poli di riferimento del circuito teatrale extra-fiorentino da lui promosso.
Nella prima parte dell’attuale pubblicazione – che inaugura la collana “Storia dello Spettacolo” diretta da Siro Ferrone per l’editore fiorentino Polistampa – Spinelli ricostruisce i meccanismi alla base dei processi di produzione e realizzazione degli spettacoli proposti a Pratolino, con una particolare attenzione alla rete di relazioni e collaborazioni tra protettori, artisti, artigiani e maestranze qualificate: «Le fonti documentarie indicano come ogni allestimento fosse curato nei minimi dettagli: dall’invito dell’interprete di grido, allo schieramento di un corpo di guardie deputato alla sicurezza e alla scorta delle cantanti; dall’ingaggio dei rammentatori per il periodo delle prove, all’assunzione di speciali fattorini capaci di muoversi con indipendenza e tempismo rispetto ai mulattieri granducali» (p. 11).
Un ruolo di primo piano fu indubbiamente ricoperto dal cantante e “manager” Francesco De Castris, la cui partenza per Roma nel 1703 coincise con una progressiva perdita di efficienza del meccanismo produttivo del teatro fuori porta. Ma Ferdinando poté avvalersi anche del generoso supporto del cardinale zio Francesco Maria de’ Medici, che condivideva con il nipote la passione per lo spettacolo e per il coevo star system, e della consorte Violante Beatrice di Baviera. Fu lei che, fin dal suo arrivo a Firenze nel 1689, animò la villa con spettacoli di prosa accompagnati da brani musicali e inserti danzati in cui rivestì il duplice ruolo di autrice e attrice. Senza dimenticare che negli stessi anni era attivo il teatrino dei burattini progettato e realizzato da una ditta specializzata diretta dall’impresario Filippo Acciaiuoli e che si esibiva con regolarità una troupe di dilettanti formata da militari, lacchè, servitori e stipendiati di corte a cui non di rado si aggiungevano attori professionisti come Angelo Costantini e Giuseppe Sondra. Nel parco della villa c’erano poi edifici destinati a passatempi extra-teatrali, come la stanza della giostra alla tedesca, il pallottolaio e la pallacorda. Un vero e proprio «parco di divertimento» (p. 86) che torna a vivere nelle pagine di Spinelli.
Il volume presenta non poche novità. Tra queste la proposta di una inedita cronologia dei lavori che interessarono la zona della scena, ampliata grazie allo sfondamento di una stanza contigua al fondale. Tale apertura – che permetteva di «far lontananze» (p. 26), ovvero di dare maggior profondità alle scenografie, nonché di aumentare il numero delle mutazioni, che passò dai canonici due a una media di dieci-undici a spettacolo – viene tradizionalmente attribuita a Antonio Ferri e datata al 1697. Grazie ad alcuni riscontri fontali è ora possibile anticiparla di circa un decennio. La nuova disposizione sarebbe stata inaugurata il 30 agosto 1688 con l’opera Il tiranno di Colco di Giovanni Andrea Moniglia, che l’anno successivo, nella raccolta Delle poesie drammatiche, elogiò l’impresa, dichiarando come il nuovo teatro non fosse «nel suo genere inferiore ad alcuno, che per entro le città riguardi» (p. 28). Ma sono da segnalare soprattutto le analitiche quanto convincenti ipotesi di ricostruzione del teatro, che si sono valse anche di un precedente elaborato di Stefano Sani.
Gran parte dei documenti su cui si basano queste nuove ipotesi sono trascritti nell’Appendice che costituisce la seconda parte del volume. Qui è raccolta anche una suite di immagini, tra cui alcune interessanti restituzioni grafiche delle citate ricostruzioni. Segue la Cronologia degli spettacoli musicali, in cui sono registrati l’anno della messa in scena; il titolo dell’opera e gli estremi tipografici dei libretti; i nomi del librettista e del compositore; l’elenco dei cantanti, degli orchestrali e degli apparatori. In chiusura, oltre all’Indice dei nomi, Spinelli propone un utile regesto di Fonti a stampa e studi critici.
Data recensione: 12/02/2021
Testata Giornalistica: Drammaturgia.it
Autore: Lorena Vallieri