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Pagine ricche, profonde, talora anche dure, mai però crudeli che si fanno particolarmente toccanti nella rievocazione di momenti decisivi della storia personale del professor Ungar e in quelli del suo Paese, dell’Europa, di tutti noi

«Pagine ricche, profonde, talora anche dure, mai però crudeli che si fanno particolarmente toccanti nella rievocazione di momenti decisivi della storia personale del professor Ungar e in quelli del suo Paese, dell’Europa, di tutti noi» scrive Franco Cardini nella prefazione di «Chiamatemi Ungar» (pp. 336, euro 26), libro edito da Polistampa. Prendendo spunto dalle esperienze dell’ultimo capostipite della famiglia Ungar, il professor Ferenc, il giornalista scrittore Riccardo Catola ha prodotto un romanzo familiare drammatico ed emozionante, che abbraccia tutti i grandi eventi di fine Ottocento e del Novecento, il Secolo breve. Nato a Budapest nel 1936 in una famiglia ebrea borghese, da adolescente Ferenc Ungar fu battezzato protestante per sottrarlo alla Shoah. A vent’anni fuggì dal comunismo e dai panzer sovietici che avevano invaso il Paese. Rifugiatosi avventurosamente in Italia, a Roma conobbe i grandi protagonisti dell’epoca, formò una famiglia e con lo studio riuscì a conquistarsi anche un futuro professionale importante come medico di fama. Laureatosi con Valdoni, allievo di Scaglietti e Fineschi al Cto di Firenze, primario ortopedico fino alla pensione, oggi è il Console Onorario di Ungheria nel capoluogo toscano. Scritto in forma di autobiografia, il libro narra vicende pubbliche e private incrociandole e confondendole. Un’opera di vibrante narrativa, fuori dagli schemi, un avvincente viaggio nelle tenebre d’Europa e uno strumento per conoscere più a fondo, con le passioni di un uomo, l’anima del vecchio continente, dove oggi – benché tra contraddizioni e incertezze – si pratica comunque la forma più alta di civiltà affermatasi nei millenni.
Data recensione: 18/07/2020
Testata Giornalistica: La Nazione
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