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Millepiedi non è la storia di un verme, come forse il titolo lascerebbe pensare, sebbene uno dei personaggi secondari del romanzo, Geo, possa senz’altro rientrare in questa categoria (senza offesa per

Millepiedi non è la storia di un verme, come forse il titolo lascerebbe pensare, sebbene uno dei personaggi secondari del romanzo, Geo, possa senz’altro rientrare in questa categoria (senza offesa per i vermi, s’intende): è un romanzo di formazione a spunto autobiografico, che ci riporta a una Firenze in via d’estinzione, negli anni tra il 1979 e il 2001, passata nei ricordi o, peggio, nel dimenticatoio. Francesco Luti, giovane (ma nemmeno troppo: classe 1970) autore al suo primo romanzo, ha un passato che potrebbe ricordare quello di un grande, e ancora misconosciuto scrittore: Giovanni Guareschi. Come il cantore delle nebbie della bassa padana, anche Luti ha alle spalle diversi mestieri: portiere d’albergo, fattorino, tipografo; ma la passione per le lettere non si ferma a caratteri e inchiostri, e si sposta alle riviste e ai giornali. Oggi Luti si presenta con un paio di robuste lauree e una buona reputazione di traduttore letterario, soprattutto di lingua spagnola, portoghese e catalana.
«Romanzo di formazione» è stato dunque definito questo Millepiedi, che ammicca spesso e volentieri al mondo del calcio; non solo e non tanto però a quello blasonato, ma anche a quello che appasionava i ragazzi di ogni ceto sociale: dando calci al pallone si cementavano le amicizie di una vita. Sullo sfondo del quartiere Campo di Marte il protagonista Giovanni Alis, alter ego ma non fotocopia dell’autore, gioca le sue partite, iniziando però ben presto a capire una cosa; che le regole del gioco, quello della vita, sono spesso sporche e truccate; potremmo dire che il doping è la regola. E Giovanni, insieme a un gruppo di amici per certi apsetti «puri», anche se non tutti irriducibile come lui, non ci sta. Rifuta, soprattutto, di distruggere il cassetto dei sogni, a partire da quello più universale e più singolare che esista: l’amore. Un amore «nato dai piedi»: il titolo infatti più che a quelli sgraziati e massicci dei calciatori, allude a quelli femminili per cui Giovanni ha un debole…Una caratteristica senz’altro positiva di questo romanzo, che si può senz’altro definire «di formazione» («Un garbatissimo ritratto di passaggio stagione» lo ha definito Antonio Tabucchi) è quella di saper giocare su temi ampiamente sfruttati senza cadere nella banalità: l’amore adolescenziale sembra così farsi metafora di un sogno che non muore, anche quando la realtà sembra contraddirlo per sempre. Non manca il tema tipicamente fiorentino e toscano della «beffa», con la trappola tesa al vile speculatore di tutti, Geo, che procura a pagamento posti «in prima fila» al cimitero; ma in fondo è una vittoria – e una vendetta – amara: per uno sciacallo braccato ne restano branchi in circolazione.
Nel complesso è un libro che rivela una mano (o meglio…un piede) d’autore. L’opera sarà presentata oggi alle ore 17 presso la sede del consiglio di quartiere 2 (Villa Arrivabene – piazza Alberti); presenti Umberto Cecchi e Cristina Pellegrini.
Data recensione: 20/10/2006
Testata Giornalistica: Il Giornale della Toscana
Autore: Domenico del Nero