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La statua in terracotta dell’arcangelo Gabriele proveniente dalla chiesa di San Gennaro in Lucchesia

La statua in terracotta dell’arcangelo Gabriele proveniente dalla chiesa di San Gennaro in Lucchesia secondo Carlo Ludovico Ragghianti fu plasmata nella bottega del Verrocchio, mentre Carlo Pedretti nel 1998 la attribuì al giovane Leonardo da Vinci. Si tratterebbe dunque della più grande delle sculture ascritte all’artista toscano, eppure – sebbene possa suonare strano in questo cinquecentenario  pieno zeppo di “rivelazioni” sul genio di Vinci – non è l’attribuzione la cosa più interessante di quest’opera tornata a brillare grazie al restauro dell’Opificio delle pietre dure. Sull’autore della statua, realizzata sul finire del ’400 e destinata alla controfacciata della pieve di Capannori, gli storici dell’arte dell’Opificio non si sbilanciano, così come gli esperti di Leonardo; però da oggi l’opera può essere ammirata nel suo ritrovato splendore nel centro espositivo Leo Lev di Vinci, un complesso artistico realizzato dagli stessi magnati russi che hanno finanziato il restauro. Qui in mostra fino al 2 febbraio (lun-ven 10-17, sab e dom 10-18), prima che l’opera torni definitivamente a casa sua, c’è l’esito di un lavoro di restauro enorme: la statua, che nel ’700 dopo una caduta accidentale era stata riempita di gesso e mal aggiustata, è stata di nuovo smembrata e rimontata pezzo per pezzo come un puzzle, poi certosinamente liberata dalla cromia gialla che appiattiva la brillantezza del colore originale. Su richiesta dei finanziatori è stata inoltre realizzata una copia esatta dell’opera utilizzando le tecniche e le ricette sul colore che si usavano all’epoca: risolutivo per i restauratori è stato l’aver seguito il suggerimento, inserito da Leonardo nel suo trattato sulla pittura, di mescolare l’aloe al colore per ottenere una migliore stendibilità. La copia, in mostra insieme all’originale, risulta così di una vividezza scioccante per noi abituati ad opere d’arte che portano i segni del tempo, ma assai verosimile se pensiamo che gli arredi sacri erano destinati alla semioscurità delle chiese. I restauratori dell’Opificio hanno però attinto anche a tutti gli strumenti che la tecnologia offre: liberando dal gesso l’interno della statua dell’Arcangelo sono state rilevate delle impronte digitali: chissà se sono quelle di Leonardo.
Data recensione: 05/10/2019
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Elisabetta Berti