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Uno degli effetti della caduta del muro di Berlino, nell’89, è stata la diminuzione di attenzione, in Occidente, verso la cultura dell’Est

Un confronto a più voci sulla cultura russa a cento anni dalla Rivoluzione d’ottobre

Uno degli effetti della caduta del muro di Berlino, nell’89, è stata la diminuzione di attenzione, in Occidente, verso la cultura dell’Est. L’interesse per ciò che culturalmente era riconducibile al mondo “sovietico”, anche per dissidenza (attraverso il canale clandestino del “samizdat”), progressivamente si è assottigliato.
Alcuni testi che erano come bussole venivano archiviati: ‘Il fiore del verso russo’ di Poggioli, ad esempio, o ‘I nuovi poeti sovietici’ editi da Einaudi con la traduzione di Angelo Maria Ripellino, gli abbonamenti a riviste come ‘L’Altra Europa’. Anche dalle reminders sparivano raccolte di Osip Mandelstam (come le ‘Strofe pietroburghesi’) o di Belyi (‘Cristo è risorto’), i libri della Jaca Book come ‘La mia generazione letteraria’ di Gladilin. Anche se leggere non è lo stesso che tradurre (possedendo meglio i testi), la poesia russa lasciava innamorare i lettori.
Eppure pochi anni prima la presenza del regista russo Andrej Tarkovskij (1932-1986), esule a Firenze, aveva richiamato in Palazzo Vecchio, per un incontro promosso dal Movimento Popolare e dal Centro culturale, centinaia di persone che avevano riempito il Salone dei Cinquecento. Qualcuno non mancò di attaccare indirettamente Tarkovskij (alcune animaliste in polemica indiretta per una scena ‘Rubljov’), mentre un socialrivoluzionario, che attrasse la sua simpatia, gli disse che le sue convinzioni non gli impedivano di amare i suoi film, che credeva alla libertà d’espressione e che credeva fosse “possibile fare la rivoluzione senza per questo tradire l’umanità” (citazione a memoria). Il regista gli spiegò che non era possibile, ma forse aveva capito un’altra cosa (questo almeno è ciò che si rileva nei diari pubblicati, col titolo di ‘Martirologio’, da Meridiana). Non molti anni dopo, quando la vedova del regista organizzò alcuni incontri nei cinema che avevano ospitato tanti spettatori per vedere ‘Stalker’ o ‘Solaris’, la risposta di pubblico divenne scarsa e anche imbarazzante.
La rivoluzione cento anni dopo e la risposta degli intellettuali russi è al centro del nuovo numero del periodico ‘Il Portolano’ (Polistampa), presentato in Palazzo Medici Riccardi a Firenze, sede della Città Metropolitana, su iniziativa del consigliere delegato alla Cultura, con gli interventi, tra gli altri, di Francesco Gurrieri, che dirige la rivista ed è autore anche delle illustrazioni, Ernestina Pellegrini, Marcello Garzaniti, Maria Fancelli – docenti dell’ateneo fiorentino – lo scrittore e poeta Michele Brancale e Diego Salvadori, assegnista di letterature comparate.
Il saggio di apertura è di Stefano Garzonio ed è dedicato a una rilettura della vita e dell’opera di Osip Mandelstam (1891-1938), figura nodale, che a nostro avviso incarnò in sé lo strazio cantato in versi da Pasternak nella sua lirica ‘Amleto’: se “essere” con il regime o “non essere” per scegliere la libertà anche a costo di morire o per subire gli effetti di una diffidenza etnica (Mandelstam, ad esempio, era nato a Varsavia nel 1891, e anche i grandi romanzieri dell’Ottocento ironizzavano su “polaccucci” ed “ebreucci”). Garzonio riporta parte dell’interrogatorio che seguì all’arresto di Mandelstam: “Il mio atteggiamento verso il colpo di stato dell’ottobre: “Il mio atteggiamento verso il colpo di stato dell’ottobre è fortemente negativo. Guardo al governo sovietico come a un governo di occupanti e questo trova la sua espressione nella mia poesia pubblicata su ‘Volja Naroda’ con il titolo Kerenskij. In questa poesia io idealizzo Kerenskij, chiamandolo pulcino di Pietro, mentre chiamo Lenin favorito”. Già Lenin, i cui tratti interiori furono colti da Malaparte in un ritratto che Adelphi riconsegna da pochi giorni ai lettori. Lenin il diffidente nei riguardi degli intellettuali di Pietroburgo che “non comprendono, non imparano, non dimenticano..., che si credono il cervello della nazione, e invece sono soltanto lo sterco della Russia”.
Gorkij aveva prefigurato proprio nel giugno ‘17 che “sia Lenin che Trotzkij non hanno nessuna idea di ciò che significhino libertà e i diritti dell’uomo. Sono già intossicati del malefico veleno del potere, come si capisce dalla condotta vergogna decisa nei confronti delle libertà democratiche, a partire dalla libertà di parola fino alla libertà personale”. Stalin porta alle estreme conseguenze questo disprezzo, soprattutto in chiave utilitarista (non mancando di apprezzare autori come Bulgakov o Pasternak). Garzaniti ha osservato come il regime sovietico finì per ripetere gli orrori del regime precedente, aggravandoli. C’è ancora tanto da ricostruire, consultando archivi e documenti. Grandi esperti e traduttori, come Serena Vitale, ha compiuto studi in questa direzione su Majakovskij e lo stesso Mandelstam (chi fu davvero a tradirlo, quando, per riprendere i versi di Pasternak, si spense il brusio ed entrò in scena davanti ai carnefici?). “Minimo con minime ali”, Mandelstam pregava per sé e per gli altri di avere un nome nel cielo immenso della storia, di non vedersi cancellato, di sopravvivere.
Il Portolano, che presenta oltre al saggio di Garzonio su Mandelstam, gli articoli di Francesca Fici sulle arti figurative e un intervento di Lucia Tonini sulla vita artistica in Russia nell’anno della Rivoluzione d’ottobre, e due ritratti: uno di John Reed tracciato da Federico Fastelli e l’altro di Ol’ga Berggol’c approfondito da Claudia Pieralli.
La presentazione è stata l’occasione di interventi a più voci per una ricognizione del rapporto tra gli intellettuali russi, l’Europa, l’Italia e particolarmente con Firenze, peraltro studiati con dovizia proprio da Lucia Tonini, autrice di ‘Rinascimento e antirinascimento. Firenze nella cultura russa fra Otto e Novecento’ (Olschki, 2012). Garzaniti ha sottolineato, ad esempio, come nella celebre ‘Corazzata Potemkin’ di Eizenstejn (1898-1948), la scena della scalinata sia intervallata per brevi frazioni di tempo dal ‘Giudizio universale’ del Beato Angelico. Circa il rapporto con l’Europa, per intellettuali come Marina Cvetaeva, che avevano un respiro profondo, l’Europa era già unita.
Tornando a Firenze, Maria Fancelli ha racconto un episodio curioso, quasi un aneddoto: “Una volta Rossana Rossanda mi pregò di accogliere a Firenze una sua amica russa molto anziana e molto povera. Era così entusiasta di Firenze che quando partì disse: ‘Ora posso morire. Ho visto Firenze’. Ho saputo solo dopo che quella signora era stata la segretaria di Togliatti a Mosca”.
Un altro aspetto emerso è che importanti traduttori, come la Vitale, starebbero rivedendo le loro precedenti traduzioni che non li convincono più. Una nuova generazione di poeti e traduttori, come Alessandro Niero (curatore della collana ‘Russia poetica’ per Passigli), sta prendendo il testimone. Gianfranco Lauretano, intanto, ha tradotto ‘La Pietra’ di Mandelstam per ‘Il saggiatore’. Ernestina Pellegrini ha rievocato la figura di Maria Olsoufieva (1907-1988), che tradusse in modo indimenticabile ‘Il Maestro e Margherita’.
Data recensione: 20/05/2018
Testata Giornalistica: La Nazione.it
Autore: Michele Brancale