chiudi

Quale è stato il ruolo di Franco Manescalchi nella cultura poetica del secondo Novecento a Firenze? In che modo questo ruolo è stato centrale

Quale è stato il ruolo di Franco Manescalchi nella cultura poetica del secondo Novecento a Firenze?
In che modo questo ruolo è stato centrale non cos’altro che a livello di testimonianza?
Il libro, attraverso la memoria evocata e ancora viva dei fatti, cerca di dare una risposta a questa domanda. Le riviste le cui vicende vengono riproposte ed evocate nel nucleo centrale del libro sono state parte importante della ricostruzione culturale del paese all’alba della caduta del fascismo e in vista della fondazione di una nuova coscienza morale e politica per l’Italia repubblicana appena nata. Nel primo dopoguerra, infatti, insieme alla continuazione di riviste già consolidate e nate in periodo fascista (L’Approdo di Carlo Betocchi, Letteratura di Alessandro Bonsanti, ecc.), sorgono e vivono, spesso come meteore, espressioni di gruppi ristretti di intellettuali e di scrittori che si pongono il compito di svecchiare la cultura provinciale fiorentina (e italiana), proponendo giovani autori, rilanciando correnti e personaggi apparentemente dimenticati, creando occasioni d’incontro e di amicizia letteraria.
Manescalchi ricorda qui i suoi esordi di operatore culturale e lo sviluppo progressivo della sua scrittura poetica: la rivista Cinzia, già classicista fin dal titolo (evoca sia la Luna cara ad Artemide che la donna amata da Properzio) fortemente voluta da Carlo Galasso che l’editava in proprio, Quartiere e Quasi, le riviste di Giuseppe Zagarrio in cui vennero coinvolti a vario titolo i principali letterati e artisti fiorentini, Tèchne, rivista passata al ciclostile della proposta underground della poesia visiva del non troppo compianto Eugenio Miccini, Hèllas nata dai ripensamenti di Carmelo Mezzasalma, Stazione di posta, frutto dell’epico sforzo di Paolo Codazzi di incidere su una realtà solo apparentemente scossa dai tentativi di mobilitazione del gruppo di Ottovolante, Salvo Imprevisti (poi L’area di Broca), l’espressione più matura della proposta poetica di Mariella Bettarini… Nel compilare la sua autobiografia culturale, Manescalchi scrive insieme a quest’ultima la biografia di una città e delle sue vicende poetiche, un “diario di bordo” intenso e forse un po’ straziato. Emergono situazioni e autori di spessore: il ruolo di Mario Luzi, ad es., viene messo in evidenza attraverso la sua partecipazione all’attività di scoperta di nuovi autori e di nuove tendenze poetiche (è il caso del suo allievo senese Mario Specchio ma anche di molti altri meno noti).
Allo stesso modo, riviste come Pietraserena (voluta dall’ottimo Valter Nesti) o Titus (diretta da Filippo Nibbi) o Ca Bala’ dove lo scrittore esercitò lungamente la sua abilità (e la sua lucida cattiveria) di feroce epigrammista (attirandosi le reprimende di Pier Paolo Pasolini prima e di Walter Siti poi) sono significative per la forza che ebbero di agitare acque culturali stagnanti fino ad allora rimaste troppo a lungo ferme e inerti, riposanti su se stesse.
Ma il libro di Manescalchi invita e forse costringe con le osservazioni che contiene anche a riflessioni più generali sul destino della poesia in Italia.
Infatti, le riviste di cui il libro si occupa non erano diffuse o stampate in grandi tirature, circolavano in ambienti ristretti, non erano conosciute dal grande pubblico, eppure hanno inciso in maniera notevole sulla formazione della coscienza culturale italiana nel periodo del dopoguerra e sicuramente anche molto oltre. Il loro compito storico è stato quello di illuminare di luce radente la crescente necessità di una democratizzazione dell’agire poetico rispetto alla ristretta dimensione di nicchia in cui era precipitato con la grande stagione dell’ermetismo. Gli autori del secondo dopoguerra italiano, i più famosi e citati nelle antologie successive, si erano da sempre presentati come i custodi dell’ortodossia poetica e selezionato i poeti a loro successivi come loro eredi designati – lo sforzo delle riviste era stato, invece, quello di allargare l’area dei lettori e anche dei possibili autori in un tentativo di rendere più popolare la poesia come genere letterario. Compito spesso improbo e non sempre coronato dal successo, quest’ultimo – ma degno di essere tenuto in considerazione non foss’altro perché è stata l’occasione finale di una riscossa della pratica poetica rispetto all’omologazione successiva ed incombente. La sconfitta non è stata comunque solo e soltanto da attribuire ai protagonisti di quell’epoca.
La storia degli esperimenti riportati nel libro di Franco Manescalchi è, quindi, la storia di un’aspirazione a incidere nella vita di una città culturalmente viva ma spesso tentata dal rinunciare a mettersi in discussione sotto l’aspetto dell’innovazione e della trasformazione sperimentale dei paradigmi stilistici e poetici precedenti.
Il superamento dell’ermetismo, la nascita della poesia visiva, la ricerca linguistica (spesso collegata in maniera importante alla dimensione pittorica e delle arti plastiche), l’uso della poesia in chiave di ricerca culturale totale, la dimensione dell’impegno civile sono tutti aspetti che hanno caratterizzato quella stagione del secondo dopoguerra.
Manescalchi l’attualizza riportandola al confronto con il più magro presente e vi si immerge come un palombaro alla ricerca delle perle nascoste sul fondo del mare per riportarle alla luce.
Il suo merito è appunto questo, aver mantenuta accesa e attiva la fiaccola della memoria e non essere mai venuto meno al suo compito di attore e/o di testimone.
Data recensione: 11/02/2018
Testata Giornalistica: Retroguardia
Autore: Giuseppe Panella