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Testo teatrale diLuigi Pirandello, musica di Francesco Malpiero, tre atti e cinque quadri, La favola del figlio cambiato viene rappresentata per la prima volta a Braunschweig

Testo teatrale di Luigi Pirandello, musica di Francesco Malpiero, tre atti e cinque quadri, La favola del figlio cambiato viene rappresentata per la prima volta a Braunschweig, in Germania, nel gennaio del 1934. Il 24 marzo di quello stesso anno, gran debutto italiano della pièce al Teatro Reale dell’Opera. Ma l’opera, nonostante i tagli della censura, «procura uno scandalo tale da essere tolta dalle scene per volere del Duce stesso».
Lo leggiamo in Luigi Pirandello. Una biografia politica di Ada Fichera (prefazione di Marcello Veneziani, Polistampa) dove l’autrice, oltre a scavare nelle motivazioni che portarono Pirandello alla scelta fascista, si occupa anche delle vicissitudini del drammaturgo alle prese con la censura. In pratica, prima di pubblicare e/o di mettere in scena una sua opera, il copione doveva essere mandato in visione al ministero dell’Interno, che dava il nulla osta, oppure toglieva di mezzo parti, o censurava l’opera “in toto”. Fu quel che accadde nella Favola del figlio cambiato che, nel 1939 (tre anni dopo la morte di Pirandello), proposta dal maestro Malipiero all’E.I.A.R. (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) si beccò una solenne bocciatura e non venne mandata in onda.
Ma cosa c’era di tanto scandaloso nella Favola? La storia è quella di una madre a cui le streghe sostituiscono il roseo e paffuto figlioletto con un esserino malaticcio e deforme. Lei se ne rammarica con una fattucchiera che le dice: lascia perdere, tuo figlio è stato portato al palazzo di un re e crescerà tra il lusso e gli agi, purché tu abbia cura dell’altro bambino. Ma il figlio cambiato non si sente felice e torna al paese a riabbracciare la madre; l’altro – che tutti prendono in giro perché si dichiara “figlio di re” – riavrà quel che gli spetta.
La censura aveva tagliato le seguenti righe: «Credete a me, non importa che sia questa o quella persona. Importa la corona! Cangiate questa di carta o vetraglia in una d’oro e di gemme di vaglia, il mantelletto in un manto, e il re da burla diventa sul serio, a cui voi v’inginocchiate». Pirandello voleva sfottere i Savoia? Il “re da burla” era Vittorio Emanuele III? Ce n’era di materia per rimestare nel torbido e forse il Duce non voleva grane. Ada Fichera non entra nel merito di pettegolezzi vari preferendo attenersi ai documenti d’archivio. Torniamo a Pirandello. Accademico d’Italia e Premio Nobel con gran gioia del Regime, di problemi con la censura ne avrà ancora, di maggiore o minore entità (e Fichera li registra tutti). Quanto a Pirandello “politico”, il fascista c’è. Addirittura un fascista “prima del Fascismo”, nazionalista sovversivo e ostile alla classe dirigente liberale, al Parlamento, alla borghesia, alla democrazia. Pirandello voleva un “monarca illuminato” che mettesse ordine nel caos: e lo trovò nel Duce. Non furono tutte rose e fiori. E ci sono documenti della Polizia Politica in cui il drammaturgo è definito «ambizioso, invidioso, ciarlatano, facile a cambiare idee e padrone a seconda del tornaconto». Un opportunista, dunque? No, ma piuttosto, come sostiene la sua biografa, un uomo con tutte le sue contraddizioni, che diventò fascista perché lo era e lo voleva.
Data recensione: 01/11/2017
Testata Giornalistica: Libero
Autore: Mario Bernardi Guardi