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È una leggenda nera che non cessa di affascinare. E di trarre in inganno. Al punto che, per raccontare finalmente la verità sulle cosiddette “vasche di Leonardo”

Il viaggio nell’ospedale tra leggende e misteri

È una leggenda nera che non cessa di affascinare. E di trarre in inganno. Al punto che, per raccontare finalmente la verità sulle cosiddette “vasche di Leonardo”, collocate nei sotterranei di Santa Maria Nuova, si è mosso adesso un gruppo di studiosi, provenienti dal Centro di documentazione per la Storia dell’assistenza e della sanità di Firenze, dal dipartimento di Fisica e Astronomia dell’ateneo fiorentino, dal dipartimento di Scienze fisiche, della terra e dell’ambiente dell’Università di Siena e dal dipartimento di Fisica applicata del Cnr. I quali hanno raccolto i risultati delle loro ricerche in un volume, Le “vasche di Leonardo”, che inaugura per Polistampa una nuova collana di “Quaderni” diretta da Marco Geddes da Filicaia e dedicata alla “Biblioteca di Medicina & Storia”.
Tutto parte dalla narrazione costruita nel corso degli ultimi decenni intorno a tre grandi contenitori di arenaria (lunghi da 3 a 4,60 metri e profondi poco meno di uno) custoditi nel sottosuolo dell’antico ospedale fiorentino: tre vere e proprie vasche che sarebbero state utilizzate da Leonardo da Vinci – che di fatto avrebbe qui operato fra il 1502 e il 1508 – per dissezionare cadaveri ai fini dei propri studi anatomici. Una teoria diventata oggetto di trasmissioni di divulgazione sulla tivù italiana (vedi Voyager, su Rai2) ma anche di documentari come Ken Follett’s Journey into the Dark Ages , girato dall’autore di bestseller britannico per raccontare la peste nera a Firenze, e rilanciata di recente da televisioni straniere – tedesche e giapponesi in particolare – che hanno addirittura spedito i loro inviati a Firenze alla ricerca di fantomatiche tracce di sangue.
Un’assurdità, secondo Esther Diana, responsabile del Centro di documentazione e curatrice della rivista, frutto di «suggestioni fantasiose dove la presenza di cadaveri marcescenti si lega a quella di un artista intento ad indagare, con la complicità della notte, la fisiologia degli organi del corpo umano». Ma un’assurdità alimentata, riconosce la studiosa, «anche per il silenzio delle fonti documentarie sulla presenza di questi manufatti lapidei: all’interno di un pur vasto fondo archivistico appartenente all’ospedale nulla trapela sulla data di loro acquisizione e tanto meno sulla funzione da loro svolta nei secoli». Se quello costruito sulle “vasche di Leonardo”, insomma, è un falso storico, il mistero sulla loro funzione rimane. Perché se non è plausibile che i contenitori, antecedenti alla nascita dell’artista, siano stati usati per studi anatomici – per cui, come testimoniano raffigurazioni dell’epoca, sarebbe bastato un semplice tavolaccio – quale fu, allora, il loro reale utilizzo? Per individuare delle soluzioni alternative, i ricercatori hanno battuto più strade: uno studio delle fonti archivistiche relative all’ospedale, concentrata su documenti datati fra il 1314 e il 1960; un’indagine scientifica sui materiali lapidei, e un’analisi dei materiali organici e inorganici ritrovati in loco. Tre le ipotesi emerse. Quella che si trattasse di vasche da tinta, destinate alla lavorazione della lana (l’ospedale, fondato da Folco Portinari nel 1285, sorse del resto in un isolato ricco di botteghe afferenti proprio all’Arte della Lana). Quella di semplici depositi per derrate alimentari come grano, farina, cereali o legumi. E infine l’ultima e più suggestiva, e cioè che le vasche fossero davvero adibite a contenitori per i cadaveri: una pratica effettivamente in uso negli ospedali europei, al di là del consenso più o meno espresso dell’autorità pubblica, ma in questo caso poco realistica, concludono gli studiosi, a causa di una serie di difficoltà oggettive legate alla loro forma, oltre che per l’assenza di testimonianze scritte e orali al riguardo.
Data recensione: 17/01/2017
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Gaia Rau