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Già dal XVI secolo, in Toscana, si lavoravano cappelli di paglia talmente raffinati da inorgoglire la corte granducale: erano il dono che Cosimo I de’ Medici mandava

Già dal XVI secolo, in Toscana, si lavoravano cappelli di paglia talmente raffinati da inorgoglire la corte granducale: erano il dono che Cosimo I de’ Medici mandava ai sovrani d’Europa. Ma è ai primi del Settecento che a Signa si comincia a coltivare il grano non a fini alimentari ma per produrre paglia fine e di qualità costante destinata alla creazione di copricapi. Il protagonista della svolta si chiama Domenico Michelacci, detto “Il Bolognino”, arrivato in queste campagna da Galeata, in provincia di Forlì, allora parte della Romagna toscana. Nel 1714, sul colle della Bianca, vicino a San mIniato, inizia una sperimentazione per ottenere paglia dai culmi (sono i fusti delle graminacee) ben dritti e sottili, lucenti, flessibili, tenaci e con l’ultimo internodo - lo spazio fra il nodo più alto e la spiga - molto lungo (lo spiega un volumetto: La paglia e il cappello - tecniche e materiale di Roberto Lunardi Maria Emirena Tozzi, Edizioni Polistampa). Da Signa, poi, la produzione di cappelli di paglia si allarga alla piana di Firenze, in Val di Pesa, nel Casentino e nel Valdarno inferiore. In seguito, particolari metodi di raccolta e di essiccamento assicuravano alla paglia toscana un colore biondo dorato che la rendeva inimitabile e ricercata in tutta Europa.
Data recensione: 14/10/2016
Testata Giornalistica: Sette
Autore: Enrico Mannucci