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Il patrimonio architettonico storico e artistico rappresenta, come specchio tangibile e materiale, l’identità stessa di una comunità: quello che è stata, e, talvolta con dolente

Il patrimonio architettonico storico e artistico rappresenta, come specchio tangibile e materiale, l’identità stessa di una comunità: quello che è stata, e, talvolta con dolente rammarico, quello che è attualmente. Dovremmo fare in modo che il destino di questo patrimonio non sia l’abbandono e il definitivo oblio; un primo piccolo passo su questa strada è la conoscenza, come recita anche un articolo contenuto nella legislazione dei beni culturali. Dobbiamo prendere atto che il resto del percorso, quello della manutenzione e del restauro, per gli ostacoli burocratici, finanziari, ma anche per la mancanza di volontà e sensibilità è molto accidentato e incerto.
Di far conoscere il patrimonio delle Signe, e segnatamente di Lastra a Signa, si è fatta carico negli anni con diverse iniziative editoriali la Banca di Credito Cooperativo di Signa, nella fattispecie con la recente pubblicazione, alla fine del 2005, del volume Selve e Lecceto. Due conventi a Lastra a Signa ed un grande mecenate, Filippo Strozzi, Arte e Storia, curato da chi scrive, edito dalla Polistampa. Nel volume abbiamo questa volta voluto considerare due importanti realtà spirituali, in passato profondamente radicate sul territorio di Lastra, la chiesa e il convento carmelitano di Santa Maria delle Selve e l’eremo domenicano di Santa Maria a Lecceto. Per non fare uno sterile riassunto del volume, alla cui lettura rimandiamo chi voglia conoscere l’argomento, vogliamo in queste brevi note porre l’accento su alcuni interessanti e, diciamo così, più inediti aspetti della ricerca.
I due complessi, come ho spiegato nel volume, sono accomunati dal toponimo che fa riferimento per entrambi a una anologa conformazione paesaggistica, dall’essere fondazioni di ordini osservanti, dall’essere stati entrambi oggetto del mecenatismo di un grande personagio del Quattrocento, Filippo Strozzi, ma sono due entità spirituali, architettoniche e artistiche completamente diverse. Il convento di Santa Maria delle Selve ebbe la sua fondazione nel marzo del 1344 (1343 secondo lo stile fiorentino), e nacque su un preesistente edificio, di proprietà di una famiglia della borghesia manifatturiera fiorentina, i lanaioli Giovanni e Francesco di Dardo Del Pace, forse già prima di questa data affidato all’ordine carmelitano che tra marzo e aprile ne prese solennemente possesso. La chiesa che noi conosciamo è il risultato di un completo rifacimento settecentesco, iniziato nel 1738 e conclutosi una trentina di anni dopo, nel 1768, con la decorazione pittorica della tribuna. Uno degli aspetti più interessanti della ricerca è stato quello di aver rintracciato e aver potuto consultare un volume manoscritto peraltro già citato da articoli carmelitani sul convento dei primi del Novecento ma con la consueta mancanza di riferimenti archivistici e documentari che è propria di questo tipo di fonte bibliografica. Si tratta del Libro di notizie e cognizioni spettanti al convento delle Selve scritto dal priore Innocenzo Rastrelli in gran parte responsabile del rifacimento settecentesco della chiesa, conservato presso l’Archivio del convento del Carmine a Firenze. Il priore lo volle scrivere negli ultimi anni della sua vita, tra il 1774 e il 1778, con una decisa attitudine storiografica descrivendo con la precisione della cronaca tutti i momenti della ricostruzione e con l’acribia dello storico settecentesco la storia, l’architettura e l’arte dell’antico complesso, raccogliendo e collezionando tutti i documenti che poté trovare sul convento.
La chiesa antica era un edificio dalle caratteristiche tipicamente gotiche, archi ogivali, pareti interamente affrescate, altari posti disordinatamente nella navata con polittici e tavole tre-quatrocenteschi. Lo stesso Rastrelli tratta a lungo dell’acquisizione del patronato di due cappelle da parte di Filippo Strozzi, avvenuta nel 1476 ma non riesce a fornirci una descrizione sufficientemente chiara del loro aspetto, essendo andate completamente distrutte in un precedente restauro seicentesco. Mettendo insieme le notizie del Rastrelli con quelle fornite dalla biografia di Filippo Strozzi redatta dal figlio Lorenzo, e quelle di un documento seicentesco fin qui inedito che riporta anche un piccolo schematico disegno è stato possibile fare un’ipotesi su questo originale inserto architettonico voluto da Filippo: non due semplici cappelle ma un vero e proprio tramezzo che divideva la chiesa a metà con tre arcate. L’arco centrale sotto il quale si trovava la sepoltura della famiglia della quale sopravvive il prezioso chiusino marmoreo intarsiato opera di maestranze legate alla bottega dei da Maiano, era fiancheggiato dai due altari fronteggianti la navata della chiesa, su uno dei quali dapprima Filippo pose una Madonna con il Bambino di Neri di Bicci, oggi dispersa, succesivamente, nel 1521, racchiusa e arricchita, per volontà della vedova Selvaggia e del figlio Lorenzo, dalla tavola ancora conservata di Antonio del Ceraiolo con San Lorenzo e Sant’Alberto Carmelitano.
Data recensione: 01/06/2006
Testata Giornalistica: Contatto
Autore: Gioia Romagnoli