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Sin dall’incipit della densa premessa che introduce il ponderoso, articolato e analitico volume sull’opera di Antonio Tabucchi, Franco Zangrilli svela, quasi en passant, le ragioni che lo hanno spinto

Sin dall’incipit della densa premessa che introduce il ponderoso, articolato e analitico volume sull’opera di Antonio Tabucchi, Franco Zangrilli svela, quasi en passant, le ragioni che lo hanno spinto a dedicare allo scrittore pisano, morto a Lisbona il 25 marzo 2012, uno studio di così vasto respiro. «Antonio Tabucchi – egli afferma – è uno scrittore tra i più illustri del nostro panorama postmoderno, molto più conosciuto all’estero che in Italia». Si tratta di un’affermazione che in filigrana tradisce un sottile sentimento di rammarico per la inadeguata attenzione rivolta a tutt’oggi dalla critica italiana all’autore di Sostiene Pereira e marca implicitamente l’intenzione risarcitoria che muove l’impegnativo lavoro ricognitivo ed esegetico di Zangrilli a lui dedicato. Vi è, poi, un secondo motivo che attraversa come un filo rosso le quasi quattrocento pagine del volume e che rinvia alla indiscussa patente di pirandellologo che lo studioso ciociaro-newyorkese ha acquisito negli anni, con studi e pubblicazioni nati dalla mai dismessa frequentazione dell’opera di Luigi Pirandello: un autore fittamente e potentemente presente nella poetica e nella ideologia tabucchiana. Infine, non è forse del tutto peregrino ritenere che a sollecitare l’interesse di Franco Zangrilli per uno scrittore come Tabucchi, che ha trascorso molta parte della sua vita fuori dai confini nazionali, vi sia una sorta di identificazione esistenziale per il comune destino di sradicamento (volontario e non), compensato da un appassionato e viscerale legame intrattenuto con la madrepatria che non ha confronti con il distratto (o indifferente?) sentimento che caratterizza tanta parte degli intellettuali indigeni.
Il lavoro è diviso in cinque capitoli, la cui specificità tematica è costantemente superata da una trama concettuale che, quasi facendo il verso ad uno dei tratti strutturali e compositivi tipici della scrittura letteraria di Tabucchi, scandisce un discorso critico estremamente mobile, con frequenti andirivieni e ritorni di motivi, con snodi ermeneutici che riprendono e sviluppano rilievi altrove solo accennati. Ne deriva il progressivo affiorare di un ritratto costantemente dinamico, ma non superficialmente cangiante, che, di volta in volta, disegna e rivela l’identità di una psicologia inquieta, inibita all’approdo contemplativo e sapienziale, agitata da un pensiero arrovellato e problematico, perennemente concentrato nell’ardua decrittazione dell’incomprensibile geroglifico dell’agire umano.
L’impatto reiterato con il mistero della vita induce lo scrittore a frequentare le modalità del fantastico, anche, e soprattutto, nella sua riproposizione postmoderna, per i significativi e numerosi indugi metaletterari che accompagnano la narrazione, a partire dal romanzo d’esordio, Piazza d’Italia (1975), sino alle storie scritte in portoghese di Requiem (1991), passando per le pagine di Notturno indiano (1984) e di Il filo dell’orizzonte (1986). Un fantastico, quello di Tabucchi, che, come puntualizza Zangrilli, quasi sempre parte dalla notazione realistica e, anzi, dalla registrazione di un dato che non si discosta granché dalla sfera della quotidianità, ma che, progressivamente, tende verso la dimensione del meraviglioso e del favolistico, in cui i parametri della storia e della realtà risultano contraddetti e trasposti in un registro fiabesco che lascia affiorare i presagi immutabili di un vago e perturbante sapore di tragedia. Così è in Piazza d’Italia, così è anche in Notturno indiano, che evoca arcane, misteriose ed ambigue atmosfere notturne (in cui si colgono significative affinità con il modello hoffmanniano e con la cifra eterodossa di taluni racconti landolfiani), che, nel potenziamento geo-antropologico dell’universo indiano, aprono spazi e interrogativi vertiginosi e inestricabili, pirandellianamente destinati a restare senza risposte, nel perenne, assurdo e farsesco gioco della vita.
Più ancorati alla dimensione dell’attualità e della cronaca sono, invece, gli agili capitoletti che costituiscono Il filo dell’orizzonte, romanzo ambientato a Genova nei tragici anni di piombo. Benché non manchino momenti descrittivi di chiara matrice realistica, la città ligure, con il suo volto ‘spettrale e misterioso’, con la sua prevalente natura ossimorica e la sua tipica topografia labirintica, «è un altro simbolo dell’immaginario di Tabucchi che trasforma il fantastico in critica sociale e la critica sociale in fantastico, che rappresenta il realismo del mistero e il mistero della realtà, la rovesciabilità di ogni elemento, l’inquadratura fantasmagorica delle cose».
Come e più di Genova, anche la Lisbona di Requiem diventa lo spazio onirico, surreale e insieme realissimo in cui si muovono personaggi «senza volti e senza identità» che, nella loro enigmaticità, si configurano quali fedeli proiezioni dei fantasmi che affollano e inquietano la mente e l’anima dell’autore. In realtà, poi, Zangrilli ha buon gioco nel sottolineare come gran parte della produzione di Tabucchi sia una costante rappresentazione, nei modi traslati e fantasmatici propri alla sua natura di scrittore e di inventore di storie, della sua personale vicenda autobiografica alla ostinata ma vana ricerca di un senso da scoprire nel caotico garbuglio che segna tragicamente l’umana esistenza e, quindi, anche quella particolare del soggetto che scrive e dice “io” nella trama del racconto.
Si tratta di una condizione che, naturaliter, spinge poi Zangrilli ad analizzare la rilevante e protratta «presenza pirandelliana » nella produzione letteraria di Antonio Tabucchi, dedicando al tema circa cento pagine fitte di rimandi, di puntuali collazioni e di stimolanti e sorprendenti riscontri testuali, che si aggiungono alla dichiarata predilezione dello scrittore pisano per Luigi Pirandello che diventa, addirittura, nel dramma Il signor Pirandello è desiderato al telefono (1988), personaggio fatto dialogare con l’altro grande virtuale interlocutore di una vita che fu Fernando Pessoa. Se, infatti, il frequente ricorso ad un meccanismo raziocinante spesso paradossale, la presenza dei temi della follia e del doppio, della disintegrazione dell’io e della moltiplicazione della identità del soggetto, la ricorrenza di simboli e metafore (lo specchio, la foto, l’ombra, il sogno, ecc.), la passione per il teatro (anche nella forma del metateatro) e per il cinema, avvicinano Tabucchi a Pirandello, la condizione di immedicabile inquietudine fondata sul presupposto della impermeabile cifra della esistenza, appena sfiorata da una lieve e disarmata ironia che accompagna la microepica di scacchi quotidiani, sanciscono un’affinità senza riserve con lo scrittore portoghese.
A caratterizzare la vita di Tabucchi, oltre all’attaccamento a taluni particolari luoghi dell’anima, fu anche la sua passione per i viaggi, che Zangrilli inquadra nel perimetro della condizione postmoderna tipica degli abitatori del «villaggio globale», in cui lo scrittore si fa giornalista e cronista di una realtà dilatata aperta alla conoscenza e alla immaginazione. In tale prospettiva, sono individuate ed analizzate le varie forme del viaggiare tabucchiano, da quello puramente allegorico a quello onirico e mentale, a quello mosso da un autentico e insopprimibile desiderio di conoscenza, in un percorso che fonde e confonde descrizione realistica ed esplorazione interiore, scorribande nel passato e cronachistica registrazione del presente, tra il qui ed ora e l’altrove, tra cultura, antropologia e politica, tra mitografia e documento. La cronaca del viaggio, poi, come puntualmente segnala Zangrilli, in Tabucchi si determina in una estrema varietà formale, in cui si alterna una pluralità di generi e sottogeneri (breve saggio, cronaca culturale, prosa d’arte, nota informativa, diario, biografia, ecc.) che donano alla sua scrittura un forte connotato sperimentale. L’impatto con l’attualità, nelle cronache e negli interventi giornalistici, è spesso assai aspro e risentito, e sfocia frequentemente nella polemica frontale, con toni sarcastici e sferzanti che si radicalizzano particolarmente quando toccano temi, comportamenti e personaggi di un’Italia irrimediabilmente corrotta, sprofondata in una miope e cinica logica affaristica, e ormai priva di senso civile e di decenza morale, anche per la presenza di un potere mediatico completamente asservito agli interessi della politica e del malaffare, e perciò incapace di esercitare l’essenziale ruolo di coscienza critica.
Un capitolo di particolare interesse e di indubbio rilievo critico è dedicato alla presenza e alla funzione della pittura nel processo affabulativo di Tabucchi. Lo stesso scrittore, d’altra parte, ha sottolineato l’importanza che essa ha avuto nella genesi delle sue opere, dichiarando senza equivoci: «Spesso la pittura ha mosso la mia penna». In realtà - precisa Zangrilli – «A vari livelli è proprio l’immagine pittorica a colorire ulteriormente i modi del fantastico, e a sostenere le strutture e i meccanismi diegetici che sconfinano in affabulazioni insolite nell’ultimo libro di Tabucchi, Racconti con figure». Talvolta, si tratta di vere e proprie riscritture di opere pittoriche per lo più segnate da un tratto visionario e deformato che sollecita la costruzione di un racconto inibito ad ogni definito epilogo, e che reitera, in forma verbale, l’inquieta enigmaticità della fonte figurativa. Va da sé, poi, come ben coglie il critico, che la molteplice e varia galleria degli autori opzionati da Tabucchi dà vita alle tante tessere che concorrono a delineare il suo mosaico interiore, rientrando a pieno titolo in un ideale capitolo della sua autobiografia intellettuale e umana.
Chiude il volume, con stringente coerenza, la proposizione del «fantasma dei fantasmi» che occupa ossessivamente la riflessione dello scrittore pisano(-portoghese), ossia il tema della morte, vero e proprio leit-motiv che accompagna, con una persistenza sempre più pervasiva, la sua produzione letteraria, ma che diventa dominante negli ultimi romanzi. In particolare, ci si riferisce a Si sta facendo sempre più tardi (2001) e a Tristano muore (2004), che, come il resto dell’intero corpus dell’opera di Tabucchi, risultano scrutinati con scrupolo critico e rigorosa puntualità nel corso dell’attenta ricognizione condotta da Franco Zangrilli che, alfine, consente ad ogni lettore di acquisire gli strumenti ermeneutici necessari per protendere il suo sguardo «dietro la maschera della scrittura» di un autore altamente rappresentativo degli anni che vanno dall’ultimo quarto del XX al primo decennio del XXI secolo.
Data recensione: 01/05/2016
Testata Giornalistica: Letteratura & Società
Autore: ––