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VENERE: enormi caratteri rossi su una parete bianca. È la scritta più vistosa quando si passeggia lungo la stretta battigia a sud di San Vincenzo

VENERE: enormi caratteri rossi su una parete bianca. È la scritta più vistosa quando si passeggia lungo la stretta battigia a sud di San Vincenzo, in provincia di Livorno. È qui che si può incontrare l’artista Gianpaolo Talani, che al bagno Venere è profondamente legato. L’incontro in questo caso è veramente fortuito e fortunato visto che Talani quest’estate è impegnato, a Firenze, ad affrescare una gigantesca parete della Stazione di Santa Maria Novella, opera architettonica degli anni Trenta riconosciuta come “ miracolo del razionalismo italiano”, tutelata e protetta perfino nei dettagli d’arredo originali e nelle insegne segnaletiche.
L’affresco, che misura 75 metri quadri verrà inaugurato in settembre. Posto sulla parete interna al di sopra dell’uscita verso via Alamanni, raffigurerà diciotto “ombre di viaggiatori”, come le definisce Talani. Un metaforico treno di umanità. Ci sta lavorando giorno e notte, rinunciando alle vacanze estive. È stata una fortuna trovarlo, una domenica, a spasso per la “sua” spiaggia. Nero il cespuglio dei capelli, come pure gli occhiali e la pelle, di modesta statura ma con un fisico asciuttissimo, Giampaolo Talani ha da poco superato i cinquanta.
Perché la “sua” spiaggia? Cosa la lega al bagno Venere, maestro Talani?
Il bagno Venere è stato fondato da un Talani, nel 1964. Questo Talani aveva un figlio con la vocazione dell’arte pittorica. Il bambino aveva nove anni e scarabocchiava ovunque, anche sulle palafitte del bagno, senza pensare che un giorno sarebbe diventato un vero pittore. Quel bambino ero io e già ero trasportato da amori che poi non mi hanno più lasciato: quello verso il disegno e quello verso il mare o, meglio, la spiaggia. Tra gli amici ero il più bravo a fare figure sulla battigia con i sassolini… ne sono ancora orgoglioso. Molti motivi della mia pittura nascono allora, anzi sono gli stessi: le balene che rincorrono le navi, i bambini che volano, i castelli di sabbia. Il mare, questa spiaggia, li sento miei: sono nato là, a San Vincenzo. Lavorando contemporaneamente alla struttura balneare, sia d’estate che d’inverno (all’epoca i “rimessaggi” cominciavano a febbraio), ho fatto la scuola dell’obbligo e poi son partito per Firenze. Lì ho fatto il liceo artistico, l’estate sempre al “Venere”, e appena maggiorenne ho preso la patente di bagnino. Così d’inverno studiavo e dipingevo, d’estate salvavo i fiorentini…
Ha veramente salvato molti bagnanti?
Sono stati cinquanta i salvataggi veri e propri: a Natale ancora ci arrivano pacchi da Firenze e da Milano, dalla Svizzera, dall’Austria, dalla Germania. Provengono da chi si ricorda d’aver visto la propria vita salva grazie alla mia scialuppa. Recentemente è arrivata con il marito, il primo giorno del viaggio di nozze, una ragazza che lì per lì non ho riconosciuto: “non fosse stato per lei – mi ha detto – non mi sarei nemmeno sposata”. Un momento commovente, mancava solo… Raffaella Carrà. Non avevo riconosciuto la ragazza lì per lì, ma ricordavo benissimo quel sabato d’estate, quella fortissima libecciata, quella bambina di otto anni e un “brutto” salvataggio, un pericoloso salvataggio: a un certo punto avevo pensato di rimanerci anch’io. La tirai su per una gambina alla fine, facendole bere chissà quant’acqua. Ma non è un lavoro eroico: basta aver visto una sola volta la faccia di chi annega, di chi vede in te l’unica salvezza, per buttarsi al primo grido di aiuto, e non perché si è “bagnini”.

“D’inverno studiavo a Firenze. D’estate a San Vincenzo salvavo i fiorentini che rischiavano di annegare

Ormai lei è un artista conosciuto e apprezzato in Italia e nel mondo: ha esposto a New York nel 199), a Innsbruck nel 199), a New Orleans nel 200), a Beiruth nel 2003, a Berlino nel 2004. Ma che cosa la lega a Firenze?
La mia storia con Firenze è antica. Del liceo ho già detto. Poi, tra i 19 e i 20 anni, facevo molti ritratti alle ragazzine sulla spiaggia, anche per finanziare il mio pendolarismo tra il bagno e l’Accademia di Belle Arti a Firenze. Mio padre non mi ha mai osteggiato, mi ha anche aiutato molto, però dubitava che questa scelta fosse la più saggia, vedendo che il destino dei pittori è spesso quello di far la fame. “Il pittore, quando gli va bene, vale qualcosa dopo morto” mi diceva. Spesso mi tranquillizzava così: “Qui c’è un lavoro, vedo anche che ti piace. Il bagno Venere c’è sempre: se ti va male con l’arte, sarà un buon ripiego”. All’inizio era scettico, ma poi l’ho conquistato. Come quando, nel ’79, mi affidarono la decorazione dell’interno della chiesa di San Vincenzo. Avevo appena terminato gli studi accademici e affrescai la chiesa (200 metri quadri) tutta da solo in otto anni, o meglio in otto inverni.
Quando raggiunge un traguardo come artista a cosa pensa?
Ora che da otto anni mio padre non c’è, quando raggiungo un obiettivo come quello della Stazione, penso sempre a lui. Però ha fatto in tempo a vedermi “ingranare” e anche a poter vantarsi di me. Nel 1999 gli ho dedicato la mostra per me più importante, Un forte vento di mare, a Firenze appunto. Ma il mio rapporto con la città è anche un rapporto affettivo: mia moglie Paola è fiorentina e Martino, mio figlio, è nato a Fiesole. La mia professione, i miei studi, gli amici vanno collocati tutti a Firenze. Mentre le amicizie d’infanzia sono qui. Vede, siamo al bagno Venere, ma in fondo siamo a Firenze, io ho sempre considerato questa come la spiaggia di Firenze: d’altra parte i bagnanti sono fiorentini. Tutte le mie prime mostre sono state ospitate dalle gallerie fiorentine, moltissime dalla Ken’s Art Gallery di via Lambertesca. La prima esposizione pubblica in assoluto, non ricordo se era l’84 o l’85, fu nel Chiostro di San Marco. Le mie più recenti “visite ufficiali” a Firenze sono l’esposizione del 2004 al Museo Archeologico di Fiesole intitolata Sine tempore e, a dicembre 2005, la retrospettiva alla Galleria Pio Fedi, in Oltrarno, accompagnata dal calendario Polistampa 2006: ne conservo un bellissimo ricordo.

“Il bagno Venere c’è sempre: facevo ritratti alle ragazzine. Otto inverni per affrescare la cattedrale di S. Vincenzo”

Parliamo della Stazione di Santa Maria Novella: molta gloria per lei, ma insieme a quella di solito vengono le critiche e le ostilità. Ha avvertito invidie?
Il successo fa piacere, l’invidia è una cosa che non m’interessa: ringrazio il Cielo che non me l’ha data, tra i tanti difetti, perché fa più morti della guerra. Anche da piccolo non odiavo chi aveva qualcosa che io non avevo, mi hanno educato a sapere anche rinunciare alle cose. Ora, con questo affresco alla Stazione di Firenze, ho deciso di rimettermi in gioco, con un po’ d’incoscienza, rilanciando, rischiando, come ho sempre fatto. E questa volta ho rischiato moltissimo. Oggi che ho raggiunto una situazione tranquilla, piacevole, con un mercato consolidato in Italia e all’estero, con le richieste che superano di molto la mia produzione artistica, proprio oggi mi cimento in un’impresa così grossa che se si trasformasse in un fiasco vanificherebbe tutto il successo conquistato. Ho già percepito sentimenti d’invidia ma non ne capisco il motivo, visto che ho praticamente solo scoperto l’acqua calda: la parete era lì che aspettava dagli anni ’30 e ci sono passati sotto tutti gli artisti del mondo. Io l’ho solo guardata, certo sapendo che potevo e sapevo fare un affresco così grande, e ci ho pensato lungamente. Poi ho proposto la mia idea, senza cercare agganci o ammanigliamenti politici, che non ho mai avuto, perché la mia carriera è fatta solo di pulizia. Semmai la mia educazione al commercio e all’intraprendenza mi ha permesso di muovermi su terreni difficili.
Cosa ha impedito allora ad altri artisti di toccare quella “sacra” superficie?
Eccetto forse questa “cultura d’impresa”, non ho niente che agli altri artisti manchi e che abbia precluso loro quella parete o impedisca loro, in futuro, collocazioni anche più importanti. Ho autoprodotto e autofinanziato l’intero progetto mediante la mia Oltremare Arte, guidata dalla competenza e dall’affidabilità di Laura Farina. Un progetto forte, importante, concreto. Tanto che, approvato pochi mesi fa, a settembre sarà già sotto gli occhi di tutti: allora chi vedrà il mio affresco potrà dire “bello” oppure “brutto”, ma non dovrà domandarsi “perché Talani?” dato che mia è l’idea e mia la produzione economica.
Un retaggio comune porta tutti noi a pensare sempre che è impossibile fare cose grosse in maniera incorrotta. Ma (più semplice e chiaro di così?) mi ritrovo a fare un enorme affresco nel tempio del Razionalismo italiano e non sono iscritto a nessun partito, anzi me ne frego della politica e di tutti i poteri, non ho mai dato una mazzetta e le mie amicizie importanti, ammesso che poi lo siano, sono venute sempre dopo, gradualmente, conseguenza e non causa della mia sudata carriera di artista.
Dunque, maestro Talani, si può fare “successo onesto”.
Glielo assicuro, io ne sono l’esempio.

A settembre
Sarà inaugurato in settembre il maxi affresco sul lato di via Alamanni alla stazione di Santa Maria Novella. Raffigurerà diciotto “ombre di viaggiatori”. L’intero affresco misura settantacinque metri quadrati. “Quella parete era lì che aspettava dagli anni Trenta” dice Talani, protagonista di numerose mostre in tutto il mondo: “Ci sono passati sotto tutti gli artisti del mondo. Io ci ho pensato lungamente e poi ho proprosto la mia idea…

Data recensione: 28/07/2006
Testata Giornalistica: Metropoli
Autore: Antonio Pagliai