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È presente anche un autoritratto di Lucio Fontana - in cui è impossibile, ovviamente, ritrovare la fisionomia del volto - così come di un astrattista radicale quale è Emilio Vedova, nella

È presente anche un autoritratto di Lucio Fontana - in cui è impossibile, ovviamente, ritrovare la fisionomia del volto - così come di un astrattista radicale quale è Emilio Vedova, nella mostra, del ciclo “I mai visti” alla Sala delle Reali Poste degli Uffizi, “I modelli di Narciso”, dedicata alla collezione di autoritratti creata e appartenuta a Raimondo Rezzonico. Normalmente le mostre del ciclo “I mai visti”, che propongono temporaneamente alla visione del pubblico una parte dello sterminato patrimonio artistico che gli Uffizi conservano ma non riescono ad esporre per mancanza di spazi (e non solo di spazi), si tengono in concomitanza con le festività; ma questo appuntamento straordinario si spiega, secondo la presidente degli ‘Amici degli Uffizi’, Maria Vittoria Rimbotti, con l’eccezionalità dell’occasione di una “anteprima di questa prestigiosa raccolta di autoritratti di artisti del secolo scorso”. Una collezione che va ad arricchire quellla - famosissima - della Galleria, iniziata nel Secento dal cardinale Leopoldo de’ Medici.
L’esposizione de “I mai visti”, in programma fino all’11 giugno, è curata da Antonio Natali, che ha selezionato cinquanta dipinti della più vasta collezione del ticinese Raimondo Rezzonico, imprenditore e mecenate, presidente del Festival del cinema di Locarno, grande amante dell’arte e di Firenze, dove aveva una casa. Rezzonico è morto quattro anni fa, e i suoi eredi hanno ceduto allo Stato e agli Uffizi tutti gli autoritratti che possedeva a un prezzo favorevole.
Così, ecco in mostra gli autoritratti di grandi maestri, soprattutto italiani (anche se tra gli stranieri troviamo nomi come Matisse e Kokoschka, Leger e Roault, Beuys e Picabia). Tra le opere esposte un Afro ancora post-impressionista e un Giacomo Balla dall’espressione vagamente buffa, la “semplicità” rigorosa dell’autoritratto di Remo Brindisi o l’arcaismo di quello di Massimo Campigli; un De Chirico degli inizi del suo periodo neobarocco e un acquerello di De Pisis, la suggestione dell’encausto di Ferruccio Terrazzi e la rapidità e corposità di segno della china e acquerello di Guttuso.
L’autoritratto di Carlo Levi rappresenta l’artista nudo, verrebbe da dire in tutti i sensi, quello celebre di Antonio Ligabue si colloca sullo sfondo di un cupo cielo rosso. Mino Maccari, con la sua vena pungente sempre sull’orlo della satira, si rappresenta nello studio insieme a un’acquirente elegante.
E ancora, tra queste opere, un intenso Mafai, una sensibile prova di pittorica di Giacomo Manzù, uno Scipione sottilmente tormentato, un drammatico Rosai che dà a se stesso un volto allucinato; mentre Sironi si rappresenta addirittura come un manichino, disumanizzato, e la forma sembra quasi sfaldarsi e confondersi con il Nulla dello sfondo scuro. Ma la galleria si conclude nel segno dell’ironia, con la voglia “sperimentale”, eternamente giobvanile, un po’ caotica, di Cesare Zavattini, dove il dipinto è completato da appunti e scritte.
Data recensione: 23/04/2006
Testata Giornalistica: Il Corriere di Firenze
Autore: Rita Sanvincenti