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Mezzo secolo di vita nella storia di ogni azienda, specie se di un’azienda cooperativa, rappresenta sicuramente un evento da celebrare. Tanto più se si tratta di un’azienda

Mezzo secolo di vita nella storia di ogni azienda, specie se di un’azienda cooperativa, rappresenta sicuramente un evento da celebrare. Tanto più se si tratta di un’azienda che si è affermata in un momento di grandi trasformazioni nell’ambito della secolare vocazione vitivinicola in un territorio come il Chianti Classico, cuore storico della viticoltura toscana e italiana nel mondo. È con questi presupposti che Maurizio Mambrini, laureato in Scienze Storiche presso l’Università di Firenze e già autore di scritti sul vino e l’alimentazione, ha redatto “Mezzo secolo di vita e di vino”, testo corredato dalla preziosa introduzione di Zeffiro Ciuffoletti, storico italiano, editorialista e autore di numerosi testi sulla storia e sull’agricoltura, guidandoci attraverso 50 anni di cambiamenti sociali ed economici del nostro Paese, all’interno dei quali si sviluppa la storia della cantina Castelli di Grevepesa.
Una storia che inizia il 21 giugno 1965 quando, per volontà e intuizione del Cav. Gualtiero Armando Nunzi e di altri 17 soci, viene fondata la Cantina Sociale Castelli di Grevepesa. Obiettivo della cooperativa è rispondere alla crisi economica e tecnica dei vecchi modelli produttivi che aveva investito i piccoli produttori, i quali in questo modo riescono a fondersi in un’unica e moderna cantina sociale e dare il via al rinnovamento dell’intera viticoltura toscana.
In una Toscana dominata dal sistema mezzadrile, dove le lotte contadine si erano risolte più spesso nel rimarcare l’individualità dei produttori, era a lungo mancato quel fermento economico e sociale che avrebbe portato a concepire e strutturare lacooperazione come strumento di difesa dal mondo esterno. Si è dovuto aspettare quindi che, dalla metà del secolo scorso, il modello mezzadrile venisse superato, che le campagne si spopolassero e che i latifondi si sfaldassero, per vedere un primo formarsi della cooperazione agricola e delle cantine sociali. Non giovò allo sviluppo della cooperazione neppure l’alta specializzazione colturale, verso cui si stavano muovendo le coltivazioni del Chianti, che aveva portato alla fluttuazione della distribuzione del lavoro manuale durante l’anno, vivendo quindi la cooperativa solo come un’alternativa tampone per i periodi di fermo. Una soluzione ibrida, che prese piede per un certo periodo, fu la creazione di cantine sociali per l’invecchiamento, l’imbottigliamento e la commercializzazione, che permetteva alle piccole cantine di mantenere la propria etichetta, ma di risolvere problemi logistici successivi alla vinificazione.
Eppure, contrariamente a quanto si sia sempre creduto in merito al presunto conflitto tra individualismo e associazionismo sulle colline del Chianti, è esplicativo citare lo stesso Gualtiero Armando Nunzi, il quale in un’intervista al Notiziario del Chianti Classico del 1972 fa notare che “è nel 1924 - primi assoluti in Italia - che i Chiantigiani creano il loro consorzio per la difesa del loro vino e del suo marchio d’origine (il gallo nero) [...] e sono sempre loro che hanno impiantato due valide Cantine Sociali, una delle quali è la più importante organizzazione cooperativa agricola operante in Toscana [...] in definitiva sembra di poter affermare che ilChiantigiano è un nostalgico - a parole - dell’individualismo ma, nei fatti, si rende conto della necessità di associarsi e dimostra la capacità di dare vita a organismi validi”.
Grazie agli importanti investimenti per la trasformazione fondiaria e produttiva delle colline chiantigiane, la Castelli del Grevepesa si rivela determinante nel percorso di rinascita del vino Chianti, liberando i produttori dalla mezzadria e rendendoli lavoratore diretti dei propri possedimenti. La prima vendemmia del ’68, che diede risultati più che soddisfacenti ed incoraggianti, mise in chiaro immediatamente uno dei punti fermi della cooperativa: la ricerca della qualità. Un obiettivo incentivato da ricavi che si fecero via via più interessanti per coloro i quali si impegnavano a garantire la migliore qualità e sanità delle uve, spingendo i soci ad accrescere sempre più la propria produzione. Nella prima metà degli anni ’70 gli affari andavano a gonfie vele e in breve tempo la Castelli del Grevepesa era diventata una tra le più importanti realtà cooperative nel settore enologico della Toscana. Dopo qualche anno di assestamento, a seguito della scomparsa del fondatore, sostituito dal figlio Maurizio Nunzi Conti che traghetterà l’azienda nel nuovo millennio, la Castelli del Grevepesa riesce a superare le difficoltà causate da un mercato in evoluzione, arrivando persino ad esportare circa la metà della sua produzione nei grandi mercati degli Stati Uniti e dell’Europa. Oggi, guidata del Presidente Enzo Benucci, la cantina si conferma come la più grande realtà cooperativa del Chianti Classico, nonché uno degli esempi più forti del motto che le è proprio “si va avanti e ci si salva se si agisce insieme”.
Data recensione: 26/06/2015
Testata Giornalistica: Bibenda7
Autore: Flavia Rendina