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Come scrive Pier Luigi Ballini nell’introduzione al volume, salvo poche eccezioni le elezioni amministrative non sono state finora un tema di ricerca molto frequentato in sede storiografica

Come scrive Pier Luigi Ballini nell’introduzione al volume, salvo poche eccezioni le elezioni amministrative non sono state finora un tema di ricerca molto frequentato in sede storiografica, soprattutto se confrontate con la maggiore attenzione da tempo riservata alle elezioni politiche. Eppure le consultazioni amministrative e le loro regole costituiscono un momento significativo dell’analisi «delle classi dirigenti e della loro cultura politica, dei loro programmi e delle scelte da loro compiute, nei diversi periodi della storia locale e nazionale», per riportare testualmente le parole di Ballini. E lo sono anche, viene da aggiungere, dell’analisi più generale della vita delle città e della nazione sotto il profilo economico, sociale e culturale oltre che politico, visto che attorno alle istituzioni locali e alle relative rappresentanze ruotano interessi e passioni di vario ordine. Ben viene dunque questo numero dei «Quaderni Sidney Sonnino per la Storia dell’Italia contemporanea», prodotto iniziale di una ricerca collettiva intorno alle consultazioni fiorentine destinata a proseguire, dopo il periodo risorgimentale, con altri contributi che si estenderanno fino all’inizio dell’età repubblicana. Che gli studi sulle rappresentanze locali si inseriscano con efficacia in un più ampio quadro di indagine sulla storia cittadina (e non solo) è del resto confermato dagli stessi saggi presenti nell’opera, che solo per metà ruotano in senso stretto intorno alle elezioni amministrative. Tali sono i contributi di Veronica Gabbrielli, che segue lo sviluppo delle consultazioni comunali a Firenze dal 1859 al 1971; di Barbara Taverni, che prosegue l’indagine raggiungendo il 1889; e di Pier Luigi Ballini, che ricostruisce le vicende del comune fiorentino nel periodo del suo primo sindaco elettivo, Francesco Guicciardini, che diventa primo cittadino nello stesso 1889. Si tratta di tre studi estremamente informati, sia sulle campagne elettorali e i risultati delle singole consultazioni, sia sul quadro normativo in cui esse si situano, volto a una crescente ma condizionata autonomia dell’istituzione locale da quelle centrali. Ricordo infatti che all’inizio solo il consiglio è elettivo, mentre giunta e sindaco sono scelti fra i loro membri dalle autorità governative centrali; poi, prima la giunta e alla fine anche il sindaco verranno eletti dal consiglio stesso. Il merito di questi contributi non si limita tuttavia alla cura con cui essi ricostruiscono le competizioni amministrative, ma prosegue nella loro attitudine a non rinchiudersi nel solo studio elettorale, e a sollevare continuamente lo sguardo alle vicende complessive della città , impegnata nel periodo in questione in passaggi decisivi nella sua storia: basti pensare agli anni di Firenze capitale o alle trasformazioni urbanistiche dell’epoca Poggi. Gli altri saggi presenti nel volume servono proprio a ricostruire come la lotta politica locale si inserisca in un più ampio quadro di riferimenti, di respiro nazionale e internazionale oltre che cittadino. Romano Paolo Coppini tratteggia il ruolo insieme locale e nazionale rivestito dai liberali toscani del periodo, incentrando la propria attenzione su alcune figure emblematiche: Bettino Ricasoli, Luigi Guglielmo Cambray Digny, Ubaldino Peruzzi. Lucia Ducci ricostruisce la trama dei giudizi espressi su Firenze dai visitatori di provenienza inglese e statunitense, e ci ricorda in tal modo il ruolo di crocevia internazionale frequentemente esercitato dalla città in virtù del suo passato culturale. Salvatore Cingari ripercorre le vicende dell’istruzione a Firenze dopo l’Unità , interessandosi non solo delle realtà scolastiche ma anche delle iniziative a carattere pedagogico, che attraverso una serie di riviste cominciano a delineare quella situazione di spiccato interesse per la formazione che caratterizzerà altri periodi dell’editoria fiorentina. Vale la pena aggiungere che la vasta rassegna proposta da Cingari serve a evidenziare sul piano dell’istruzione tutte le contraddizioni della politica fiorentina postunitaria, volta alla formazione delle élites ma poco sensibile all’istruzione di base, sospesa fra istruzione professionale a destinazione immediatamente economica e più ampia formazione civica, e soprattutto incline a rispettare, se non ad agevolare, l’istruzione privata e segnatamente confessionale (quest’ultima rappresentata a Firenze soprattutto dal potente ordine degli Scolopi) a scapito del settore pubblico. Per un volume così ricco di spunti come quello di cui sto parlando, non è tuttavia possibile tratteggiare in una scheda informativa l’insieme dei risultati storiografici e delle sfumature che attraversano ogni singolo contributo. Ci si può solo limitare a uno sguardo d’insieme, quello che vede un iniziale blocco di potere allargarsi giocoforza a nuovi apporti e a nuovi concorrenti, secondo una tecnica di aggiustamento che sembra tuttavia più quella della cooptazione che quella dello scontro o della competizione alternativa. Negli anni dell’Unità la politica cittadina (come parte di quella nazionale, d’altronde) appare in mano a una ristretta e´lite di origine nobiliare e terriera, con sporadiche aperture verso il crescente mondo della finanza. Con il passare del tempo, e con il riarticolarsi delle funzioni economiche e politiche di Firenze per effetto del trasferimento della capitale e in seguito alle trasformazioni urbanistiche cui si è fatto cenno, questo blocco sociale è costretto ad allargarsi a nuovi soggetti anche in funzione della rappresentanza politica: cresce così via via il peso anche politico del sistema bancario, della manifattura in espansione attorno al territorio urbano, del ceto mercantile, delle professioni liberali (fra avvocati, medici, ingegneri, e altri che figurano fra i docenti o i dirigenti delle grandi istituzioni culturali vecchie e nuove, dall’Accademia dei Georgofili alla Scuola di Scienze sociali sorta nel 1875, tanto per fare due nomi di istituzioni tra le più pronte a prestare le proprie forze al consiglio comunale). Ma l’impressione, leggendo l’insieme della vicenda quale traspare dalle pagine del volume, è più quella della persistenza di un dominio sociale abbastanza chiuso in se stesso (nonostante le discussioni interne al fronte liberale fra moderati e progressisti), che di un avvicendamento davvero innovatore in termini di uomini e di idee. Ritornando più direttamente alla competizione elettorale in ambito amministrativo, sulla sostanziale staticità delle posizioni influiscono senz’altro le specificità del periodo. Prima fra tutte va ricordata la limitatezza del suffragio, dovuta a una legislazione che pone ostacoli severi di tipo censitario al diritto di voto, e a un’ideologia politica che a tratti interpreta volentieri il comune più come associazione di proprietari-contribuenti che di cittadini. È un fenomeno particolarmente evidente all’inizio del periodo in questione, quando (nel 1859) meno di tremila persone possono esercitare il diritto di voto in una città di quasi 114.000 abitanti: un dato destinato a migliorare per effetto di varie riforme legislative nei decenni successivi, ma in termini sempre molto lontani dal rappresentare la cittadinanza in tutte le sue componenti, visto che il numero degli elettori sale a poco più di diecimila unità a partire dalla metà degli anni sessanta, per superare di poco le diciottomila alla fine del periodo qui in questione, vale a dire nelle elezioni del 1889. Alla limitatezza del suffragio va aggiunta la dimensione spesso elevata dell’astensionismo (segno di un disinteresse da parte di una frazione consistente dell’elettorato potenziale rispetto a consultazioni dall’esito spesso scontato) e il dominio del notabilato, capace di controllare le scelte degli elettori anche quando si cominceranno a imporre i voti di lista (liste, beninteso, quasi sempre espressione di interessi corporativi, aventi ben poco a che fare con quelle che saranno le liste di partito, e in grado di ospitare candidati comuni a più liste, secondo quanto concesso dalla legislazione all’epoca vigente). Quello che emerge con evidenza dalla ricostruzione non solo del momento elettorale vero e proprio, ma anche di quello preparatorio della campagna di propaganda (in particolare nel saggio di Barbara Taverni, che a ciò dedica un’insistita attenzione), è infatti la capacità di pochi centri di potere, ma attrezzati e fra loro collegati, di imporre i loro candidati: un risultato per il quale lavorano potentati economici, logge massoniche, giornali («la Nazione» in primo luogo, in grado quasi sempre di proporre una “propria” lista di candidati e di vederla vincente), istituzioni culturali, a tratti la chiesa locale. Un’ultima osservazione riguarda il fatto che il periodo analizzato nel volume, essendo precedente l’avvento dei partiti di massa, rinvia a una specificità di condizioni politiche che lo differenziano profondamente da altri periodi, a noi più vicini, di competizione elettorale locale. Tuttavia, certe parentele che si respirano fra quanto si legge nel libro e i vizi storici del nostro vivere locale e nazionale, trascinatisi fino ai giorni nostri, risultano ugualmente impressionanti. E ne emergono davvero molti, di vizi: penso alla riduzione dell’esercizio del potere politico a consorteria, su cui insiste in particolare il saggio di Coppini; all’intreccio fra politica e affari; alla disinvoltura nel cercare di superare le difficoltà con l’indebitamento pubblico, che negli anni ottanta porta il comune fiorentino quasi alla bancarotta e al commissariamento; all’indulgenza verso un atteggiamento compromissorio nei confronti dei poteri influenti nell’ambiente urbano, di cui sono eloquente testimonianza i ripetuti cedimenti di un ceto politico a parole cavouriano nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche della città.
Data recensione: 01/07/2014
Testata Giornalistica: Rassegna Storica Toscana
Autore: Claudio De Boni