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Antonio Tabucchi? Era figlio di Pirandello (oltre che di Pessoa, s’intende, di cui ha tradotto e curato l’opera). È questa la tesi di Franco Zangrilli

Il romanzo più celebre dello scrittore cita “Sogno ma forse no” e “Una giornata”. È la tesi del saggio “Dietro la maschera”

Antonio Tabucchi? Era figlio di Pirandello (oltre che di Pessoa, s’intende, di cui ha tradotto e curato l’opera). È questa la tesi di Franco Zangrilli, docente di italiano e di letteratura comparata alla City University of New York, che allo scrittore pisano scomparso a Lisbona nel 2012 ha appena dedicato un saggio intitolato “Dietro la maschera della scrittura” (Polistampa).
Il libro esplora i rapporti dell’autore di Sostiene Pereira con i grandi della letteratura. A cominciare proprio dal Nobel siciliano, «forse un postmoderno molto tempo prima del postmodernismo» scrive Zangrilli, che in oltre trecento pagine dimostra la «presenza continua e informe» dello scrittore siciliano nelle pagine di Tabucchi. «Spesso – continua il critico, uno dei massimi esperti di Pirandello – capita che anche i figli che si ribellano all’eredità paterna finiscono per accettarla. Se Sciascia a un certo momento si ribella e causa una rottura con il mondo pirandelliano, essa è una rottura apparente».
E Tabucchi? «Inconsciamente e consciamente utilizza e riscrive a suo modo la tradizione di questo padre. Del resto egli stesso afferma che quando si scrive c’è sempre un padrino, anche se lo si nega o lo rifiuta. A volte si ha l’impressione che lo scrittore invochi e accolga il fantasma del Pirandello padre, non solo come l’inquieto Amleto che nello spettro paterno ricerca la certezza, ma anche come il riconoscente Dante che abbraccia con sommo affetto lo spettro del suo maestro».
Tabucchi stesso menziona Pirandello nelle numerose interviste rilasciate. Quando discute del suo personaggio alla ricerca di se stesso in Notturno indiano suggerisce chiaramente che tale ricerca va intesa nell’accezione pirandelliana. Quando affronta il tema del racconto come genere letterario su cui è fondata la letteratura italiana, cita le Novelle per un anno. Quando recensisce L’insostenibile leggerezza dell’essere di Kundera, parla di metafisica del reale di pirandelliana memoria. Senza considerare i suoi racconti e romanzi in cui spesso allude (indirettamente, ma mica tanto) ai personaggi pirandelliani. Un esempio su tutti? Quel Sostiene Pereira che nel 1994 gli diede la fama internazionale. Il protagonista, vecchio giornalista di Lisbona, logorato da preoccupazioni personali, sociali e metafisiche, inaugura la sua nuova rubrica “Ricorrenze” scrivendo un articolo intitolato “Due anni fa scompariva Luigi Pirandello. Il grande drammaturgo aveva presentato a Lisbona il suo Sogno ma forse no”.
«Sempre in questo romanzo – aggiunge Zangrilli – il dialogo immaginario in cui il protagonista si rivolge alla foto della moglie deceduta che ritorna in vita a consolarlo è plasmato su quello identico che si svolge tra il vecchio Pirandello e la consorte nella novella surrealistica Una Giornata».
Del resto Tabucchi, scrittore fantastico e molto autobiografico, non fa altro che indagare e trasfigurare l’intreccio tra finzione e verità, facendo smarrire i suoi personaggi nell’azione ossessiva del guardarsi allo specchio: azione drammatica, anzi tragica, densa di tormento, lacerazione, solitudine. Guardare, guardare senza stancarsi, per comprendere meglio. Come il Vitangelo Moscarda di Uno, nessuno e centomila. Come ogni altra creatura di Pirandello con gli occhi dentro quel “cannocchiale rovesciato” che nei racconti del narratore agrigentino è metafora dello scrivere, dell’immaginazione che viaggia in mondi conosciuti e sconosciuti.
«Pirandellianamente – spiega Zangrilli – il personaggio tabucchiano non si stanca di perdersi nell’osservazione contemplativa e fantastica. Cerca di muoversi dentro e fuori le cose, si immerge a focalizzare persino un dettaglio di una toto rovinata, di un dipinto, di una scena filmica, soprattutto perché vive la filosofia pirandelliana che la realtà non è quella che si presenta ai nostri occhi». Di qui anche l’umorismo di cui Tabucchi si serve per attorcigliare continuamente tragico e comico, riso e pianto, razionale e irrazionale. Un umorismo che, a furia di scomporre e ricomporre le mille sfaccettature della realtà, non di rado diventa grottesco, estroso, paradossale. E che annulla, sorridendo, ogni distanza.
Così da Lisbona al Caos il passo è più breve di quanto si possa immaginare.
Data recensione: 20/02/2015
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Salvatore Falzone