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Il 3 febbraio 1865 Vittorio Emanuele II arrivava in treno a Firenze sfruttando la Porrettana da poco inaugurata. Firenze, dopo Torino

Il 3 febbraio 1865 Vittorio Emanuele II arrivava in treno a Firenze sfruttando la Porrettana da poco inaugurata. Firenze, dopo Torino, diventava la capitale d’Italia e lo sarebbe stata per cinque anni. Fino a Porta Pia. Il passaggio dal Po all’Arno non fu indolore.
I piemontesi ci rimasero male (promulgata l’11 settembre 1864 la legge che ne sanciva il trasferimento scatenò sanguinose dimostrazioni lasciando sul campo morti e feriti mentre il governo Minghetti passava a Lamarmora) e i fiorentini sembravano più preoccupati dall’aumento degli affitti che dai benefici derivanti dal nuovo status.
Volenti o nolenti la decisione era stata presa altrove. A Parigi. Un protocollo segreto stabiliva che la Convenzione sottoscritta fra Italia e Francia per lo sgombero delle truppe francesi dallo Stato pontificio avrebbe avuto valore solo quando il re d’Italia avesse decretato il trasporto della capitale da Torino in un’altra città. Senza specificare quale. Firenze stava nel mezzo e come tappa di avvicinamento a Roma era l’ideale.
Furono cinque anni decisivi per la storia di Firenze, che uscì dal guscio medievale e cambiò radicalmente pelle dal punto di vista urbanistico. Una mutazione i cui effetti sono ancora visibili e che hanno un preciso “responsabile” nella persona di Giuseppe Poggi, incaricato dal Comune in data 22 novembre 1864 di coordinare gli interventi per il “Piano di ingrandimento” della città. La mostra “Una capitale e il suo architetto”, aperta con il contributo decisivo dell’Ente Casa di risparmio all’Archivio di Stato di piazza Beccaria, spazio simbolo della nuova “grandeur” se ben altre destinazioni non ne avessero stravolto la prospettiva (come si vede dall’immagine riportata in copertina del catalogo edito da Polistampa) ne ripercorre l’opera attraverso una fitta trama di documenti, carte, disegni, foto, mappe, dipinti, lettere, progetti, modelli, video, destinati a ridare al Poggi quel che è del Poggi (a partire dal panorama del Piazzale Michelangelo fino alla rete fognaria e alla regimazione dei corsi d’acqua) assolvendolo da ingiuste accuse come quella, la principale, che lo vuole rottamatore senza pietà della antiche mura medievali. La cui fine, vista con sgomento più dagli stranieri che dai fiorentini, in realtà fu fortemente voluta da Palazzo Vecchio per costruire al loro posto uno “stradone” (gli attuali viali): compito che Poggi porterà a termine con estrema rapidità, forte della conoscenza anche diretta di quanto era stato fatto nelle maggiori città e capitali europee.
Come scrive il curatore Piero Marchi “l’abbattimento delle mura fu quindi una scelta politica cui l’architetto dovette adeguarsi riuscendo tuttavia a salvaguardare almeno le porte dell’antica cerchia anche se ridotte a arredo urbano delle nuove, grandiose piazze che si andavano realizzando”. La mostra, nell’ambito delle celebrazioni per i 150 anni di Firenze Capitale, resterà aperta fino al 6 giugno.
Data recensione: 03/02/2015
Testata Giornalistica: Il Tirreno
Autore: Gabriele Rizza