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Il viaggio come allontanamento estremo e solitario, ma il viaggio anche come ricerca di sé e come ritorno alle proprie origini e alle ragioni e speranze di un impegno umano e politico, lungo

Il viaggio come allontanamento estremo e solitario, ma il viaggio anche come ricerca di sé e come ritorno alle proprie origini e alle ragioni e speranze di un impegno umano e politico, lungo quanto una vita. È tutto questo Le nuvole non chiedono permesso – dalla Patagonia all’Alaska cento giorni a piedi e in corriera di Tito Barbini, recentemente pubblicato da Polistampa (pagine 159, euro 8). Politico di razza e di lungo corso, per molti anni apprezzato uomo delle istituzioni, innamorato dei viaggi, il nostro concittadino, a un’età non più verdissima, non ha avuto esitazioni: zaino in spalla, con i soli mezzi pubblici, da solo e “senza prenotazioni” ha percorso per oltre tre mesi l’intero continente dell’America latina, per risalire lentamente fino al Messico, agli Stati Uniti e alla fredda Vancouver e da lì, poi, fare ritorno a casa. Tito ha viaggiato molto e viaggerà ancora: ma crediamo che questo di cui ci racconta nel suo bel libro, sia stato, senza alcun dubbio e per tutte le ragioni che vi abbiamo letto, il “viaggio di una vita”. Le pagine del diario di viaggio si intrecciano infatti, e si sdoppiano, in diverso carattere, in un alternarsi di scoperte e suggestioni di un continente immenso e straordinario, e di riflessioni e ricordi di una passione e di una militanza politica inesauste, di una gioventù perduta e di una maturità conquistata attraverso traguardi raggiunti, obiettivi realizzati, amare delusioni subite. E qui, da oltre un oceano e in un altro emisfero, compaiono e prendono forma pensieri e parole sulle recenti vicende politiche della nostra città, sulla sconfitta del 2004, sulla bruciante umiliazione, sul desiderio quasi doloroso di ripensare gli errori e di riflettervi a fondo. Sulla paura di non riuscirci. Sulla capacità ancora di farlo a prezzo di allontanarsi e perdersi. Dalla Santiago di oggi e di Michelle Bachelet a quella ferita di Salvador Allende e del cantante poeta Victor Jara, ucciso e torturato insieme a tanti nello stadio Nazionale, accompagnato dall’ombra benigna e dai versi dell’amato Neruda, fino allo svelamento dell’ingiusto destino dei fieri mapuche, derubati della terra da una stolida e sorda industria europea. Poi, giù verso il fatale Sud del mondo, per giorni a bordo di un lentissimo cargo che costeggia tra i fiordi la costa cilena e le cime innevate della Cordigliera, scrutando in alto le lontanissime e fredde stelle della Croce del Sud. Intanto brevi, asciutte eppure intense riflessioni affidate alla pagina, sulla politica e sull’impegno civile che non abbandonano il viaggio. Realismo e disincanto sono la loro cifra, mai però rinunciatarie o falsamente consolatorie, sempre animate da una voglia che è in fondo ricerca di sé, appuntamento per prossimi confronti, conquista di una nuova dimensione politica, a misura dei tempi. “Cercherò. Cercherò perché so che attraverso il passato e il presente di un continente può emergere anche il senso della mia storia e la possibilità di un futuro che non sia solo mio”. Una vera e propria dichiarazione di intenti. Una promessa mantenuta. Alla Patagonia, questa terra sognata, deserta, ultima, Tito dedica la parte centrale del suo viaggio e del suo libro. Laggiù incontra una natura sconvolgente, il freddo delle immense pianure selvagge, la solitudine di luoghi sconosciuti e lontanissimi, ma anche una singolare e insperata leggerezza, come la chiama lui, che gli dà entusiasmo, gli fa rivedere con chiarezza un passato pacificato dal ricordo, gli dà la ferma speranza di un impegno futuro. È commovente quando ci dice: “Vuol dire essere felici? Penso di sì”. Sono altrettanto commoventi e pieni di verità gli incontri casuali del viaggio, gli umili e dolcissimi indios, i vecchi pescatori con le loro storie forse inventate, le fantastiche testimonianze delle prime leghe operaie e anarchiche patagoniche, impegnate duramente a riscattare il destino dei poverissimi braccianti e salariati di inizio Novecento. Dall’estremo Sud il viaggio prosegue lentamente verso il Nord e l’Argentina, con la sosta, che diviene quasi un incubo, a Bariloche, lontano rifugio per decenni di Erich Priebke, il boia delle Fosse Ardeatine, fino a Buenos Aires, all’incontro con le dolenti madri della Plaza de Majo, con i canonici miti di Evita Peron e del tango e con enigmatiche e oscure figure, meno conosciute, ma altrettanto affascinanti, testimonianza di una profonda e spontanea fede popolare, come la Difunta Correa. Mentre i giorni si aggiungono ai giorni e alle settimane, i ricordi e le riflessioni si fanno più intimi e segreti. Emerge e ritorna più volte in tutta la sua affettuosa e umanissima corporeità il ricordo del babbo e della sua salda fede politica, ricompare il profilo sfumato della piccola città dell’infanzia, si delineano a fondo le ragioni di una passione giovanile e di una lunga militanza politica, la cruda consapevolezza di una sconfitta storica per le illusioni e le utopie di una generazione, il confronto con la dura lezione della storia, ma anche l’orgogliosa rivendicazione, e non rinnegamento, di un passato pur denso di soddisfazioni e generoso nei confronti dei più deboli, e il faticoso raggiungimento di un nuovo e maturo equilibrio riformista. Ancora verso Nord, in corriera, in piste faticose e sconnesse, in percorsi di migliaia di chilometri, su verso i quattromila metri degli altipiani boliviani. Dove il cielo è di un azzurro mai visto, in un immenso, abbacinante, incredibile deserto di sale, Tito incontra Natalio, uno zappatore di sale cui ha dedicato la foto di copertina del libro. È per noi la vetta, non solo altimetrica, del libro. Sono pagine molto belle, brevi, scandite da un ritmo scabro e da una cadenza a suo modo delicata e assorta. Proseguiamo. Le magie senza tempo di Cuzco e del Machu Picchu, le contraddizioni di Panama, i due oceani così vicini, le allegre balene della Baja California, los Muralistos di Città del Messico, fino alla incredibile frontiera di Tijuana e San Diego dove si scontrano e si incontrano drammaticamente e quotidianamente il Nord e il Sud del mondo e, infine, il lungo e indistinto tratto della costa statunitense “…tirando dritto…” fino a Vancouver, la rinuncia alla freddissima Alaska, capace di gelare un cuore caldo e gonfio di immagini e sogni, il silenzioso volo verso casa. Nelle ultime pagine, il libro accorcia i tempi e, come il viaggio, non si sofferma che brevemente sull’America del Nord, quasi la rifugge, tanto è stato sconvolgente e quasi insostenibile il peso del continente australe. Tanto, dopo oltre cento giorni di solitudine, pare irresistibile la nostalgia di casa, il bisogno di rivedere le persone care, il quieto rivivere un ricordo che è diventato già sogno, il progetto di un nuovo impegno, dopo aver “…riannodato i fili della mia memoria sciolti durante gli anni…”. Il libro verrà presentato il 19 giugno alle 17 nella sala dei Grandi della Provincia.
Data recensione: 16/06/2006
Testata Giornalistica: Arezzo
Autore: Augusto Guidi