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Una preziosa “summa poetica” rappresentata questo libro di recente pubblicazione, con la prefazione di Carmelo Mezzasalma e la postfazione di Franco Manescalchi

Una preziosa “summa poetica” rappresentata questo libro di recente pubblicazione, con la prefazione di Carmelo Mezzasalma e la postfazione di Franco Manescalchi, avvalorata dalle illustrazioni che riportano gli eleganti disegni dell’artista Sergio Rinaldelli. Giancarlo Bianchi poeta, saggista e pubblicista, ha riscosso importanti riconoscimenti tra cui il Premio “Fiorino d’argento” per la Poesia inedita ed il “Premio fiorentinità” – La Pergola Arte, Firenze 2010; è stato tra i redattori della Rivista “Hellas” e ad oggi ricopre l’incarico di segretario di “Novecento Poesia”; riconosce in Adolfo Oxilia il maestro di vita e padre spirituale che lo ha iniziato al clima culturale diffuso dalla papiniana Rivista “Ultima”, di filosofia e metasofia, per promuovere nel secondo dopoguerra la Poesia di intonazione sacra. Il testo in esame costituisce infatti la sintesi riuscita del suo ricco itinerario letterario ed esistenziale che ha segnato la sua vocazione lirica, abbracciata con passione fin dagli esordi, intrisa di quelle idealità etiche, nell’alveo segnato dal’insigne Mario Luzi, che veicolano una religiosità autenticamente perseguita, di cui il verseggiare vibra con estatico stupore per il miracolo-vita secondo limpide sinfonie e mistici slanci. Si tratta di un’opera antologica sapientemente accurata di frammenti lirici scelti dalle sillogi edite nell’arco di tempo del 1971 ad oggi, corredate dalla sezione “Poesie sparse”, punteggiata da suggestive inserzioni in prosa, articoli, lettere ricevute, con l’apparato di scelti giudizi critici ed un significativo portfolio di memorie fotografiche. Il climax poetico si rivela nell’ardore  dell’ascesi lessicale, come è evidenziato dai titoli delle stesse raccolte enunciate, tra cui: “Il ramo del primo sole” (1986); “Rugiada nella rete d’oro” (1992); “Come una monodia” (2006), “Nel cuore dell’azzurro” (2009) che comprovano la cosmogonia di visioni rivolte alla ricerca dell’ineffabile nel contingente, di cui la natura è il grande codice dinnanzi al quale l’uomo si inchina per la spettacolarità dell’esistente, nel tentativo di disvelare la sua escatologia segreta. Lo stile poetico di G. Bianchi se da una parte trae linfa vitale del fascino per il Mito greco, nell’aura primigenia del suo caratterizzarsi, dall’alta trasfonde questa ricerca archetipica nell’anelito alla trascendenza che la precarietà umana invoca nella condizione dei “silenzi dell’anima”, emozionali e cognitivi. Il suo navigare a mare aperto nei flutti della poesia e nelle derive della vita trova nella metafora dell’ “àncora” lo strumento di stabilità a ricercare, mediante  la retrospettiva dello sguardo, il percorso già effettuato, alla riscoperta di nuovi orizzonti da esplorare, recuperando il dolce e nostalgico conforto nel mondo irriducibile dei legami familiari, rievocando l’affetto struggente per la madre Eda da poco scomparsa, il ricordo della fisionomica paterna e la compagnia incomparabile dei nonni. Il tempo scolpisce la memoria, la conserva per prepararci ad altre mete spirituali di cui la poesia si fa paladina,  corroborata dalla testimonianza di persone care che attraverso la sofferenza hanno dato prova di grande dignità e verità come il rapporto di amicizia che lega il poeta alla storia di Loredana Disperati Fanfani e la devozione per Madre Imelda, fondatrice della Casa - accoglienza per bambini poveri ed anziani. G. Bianchi, operatore culturale presso l’Istituto “La madonnina di Trespiano” e per alcuni anni dipendente della Ven. Arc. Misericordia di Firenze, dimostra come la sua dichiarata spiritualità si avvale di prassi condivise di carità, per calarsi nelle inquietudine del vivere e risvegliare l’appartenenza alle radici dell’essere in un canto libero, segnato solo dalla prossimità all’altro nella comunione universale dell’economia della Salvezza nel processo storico. Cultore della profezia del quotidiano, i suoi contenuti sapienziali ed il suo fervido verseggiare si flette in salmodianti ritmi sorgivi ad esaltare la molteplicità degli aspetti creaturali, nell’inno alla biodiversità e ritrovare nell’atto speculativo – Un cuore che capta / un cuore che vede / un cuore che ama / - il senso da restituire alle ferite dell’anima nella richiesta inesausta di comprendere la finitudine dell’io, verso le intellegibili tracce del “Divino” che alcune civiltà antiche hanno individuato nella presenza-metafora del Sole, capace di elargire calore e vita, in piena sintonia con la volontà dell’autore nell’affermare di voler consacrare la parola lirica all’ “irruzione della Luce” nel mondo. 
Data recensione: 01/09/2014
Testata Giornalistica: Pègaso
Autore: Silvia Ranzi