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Evaristo Seghetta Andreoli è nato nel 1953 a Montegabbione, paese umbro nei pressi di Orvieto. Ha vissuto in molte città, tra cui a Ferrara

Evaristo Seghetta Andreoli è nato nel 1953 a Montegabbione, paese umbro nei pressi di Orvieto. Ha vissuto in molte città, tra cui a Ferrara, Parma e Modena. Attualmente vive e lavora ad Arezzo. È dirigente in una banca ma coltiva da sempre la scrittura e la passione per la letteratura. La sua poesia Sono il cipresso è stata premiata al concorso letterario “Aronte” di Carrara nel 2012 e ha ricevuto il premio speciale della giuria al concorso letterario internazionale “Sempre caro…” di Recanati nel marzo 2013. I semi del poeta (Polistampa 2013) è la sua prima raccolta di versi pubblicata. Il cipresso, per il poeta, che si pone come cantore della terra, assume un valore esistenziale, in quanto nelle campagne veniva posto a confine dei casolari, ad indicarne e imporre la presenza. Ma, nei secoli, cipresso e Toscana compongono un solo binomio tanto da essere posti anche nei cimiteri, “All’ombra dei cipressi”, come albero sacro, o come barriera sparti vento nel paesaggio. In ogni caso, il cipresso, in poesia, ha la facoltà di parlare. Così “parla il cipresso equinoziale” Pianeta poesiadi Luzi, rivolto a città celesti, “bisbigliano” i cipressetti di Carducci richiamandolo alla sua vita giovanile. Il poeta ne sottolinea l’aspetto sacro, come figurazione dell’uomo teso in una trascendentale invocazione. Inizia con la personificazione del cipresso - uomo in un’unica immagine orante, cuspidale: Sono il cipresso: Sono le mie mani congiunte, le dita serrate in punta acuminata, gotico arco orante nello spazio celeste di ieratiche ombre struttura imponente: prego. Per poi aprirsi come creatura di terra e di cielo abitata da “lucertole e merli di mare” e conclusivamente rivolgersi al volo delle rondini e al moto degli elementi come largo respiro orante. Questo suo procedere per icone gli permette di rivisitare e fermare sulla pagina memoria, storia e natura, tre capisaldi di questa poesia che si esprime attraverso il filtro di una conoscenza dei classici metabolizzati con moderna freschezza lirica. Memoria e storia sono un binomio nel quale gli eventi del cerchio familiare si allargano e diffondono come un eco dello spirito e dunque attingono all’universale, mentre la natura, colta fra meraviglia e stupore, li accoglie nelle sue trame melodiose, come si è visto nel cipresso. Ne nasce così una poesia sorgiva che fluisce in modo variegato, ora in un verso sciolto e naturalmente dinamico, ora col ritmo calzante della ballata, ora con la distesa narratività del verso quantitativo classico e tutto questo dando forma all’esigenza del dire che muove, come si è scritto, fra memoria, storia e natura. Ciò che peraltro piace in questa opera è che il reale, al quale il poeta attinge e nel quale intinge la sua penna, vivifica il discorso fino a rimanere integro così che il canto o la confessione non sono disgiunti dalla propria fonte. Una volta si sarebbe detto che forma e sostanza coincidono dando luogo ad un esito felicemente risolto. Ma è anche la citazione in exergo al libro a offrire una chiave di lettura del testo. “Ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita.” Prof. John Keating (Robin Williams) dal film L’attimo fuggente di Peter Weir Ed appare così un altro trinomio (bellezza, romanticismo, amore) che, aggiunto al primo (memoria, storia e natura), chiarisce le salde radici di questa poesia il cui hic et nunc si esplica in una contemplazione attiva e rigeneratrice di un canto che fa degli eventi del tempo una stagione dell’anima.
Data recensione: 22/03/2014
Testata Giornalistica: Cultura Commestibile
Autore: Franco Manescalchi