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Un thriller mozzafiato, un ameno paesino toscano a metà strada tra Firenze e Arezzo, una lettera inquietante e misteriosa che spalanca voragini. Un giallo teso come la corda

Un thriller mozzafiato, un ameno paesino toscano a metà strada tra Firenze e Arezzo, una lettera inquietante e misteriosa che spalanca voragini. Un giallo teso come la corda di un violino che non svela nessuna delle sue carte fino all’ultima parola dell’ultima pagina. È “Buio” di Giacomo Aloigi, un romanzo d’esordio lodato dalla critica e baciato dal successo del pubblico. Edito da Polistampa, il libro è alla sua seconda ristampa e fa molto parlare di sé, per la trama avvincente e per l’intreccio mai banale. Aloigi, che di lavoro fa l’avvocato civilista ma che a fasi alterne è anche musicista in una scatenata rock band, si è documentato a lungo prima di mettere mano alla penna.
«Sono un appassionato del genere giallo e noir - racconta l’avvocato-scrittore fiorentino -. Sono anche un cultore del cinema noir e horror. Insomma, ho mescolato tutte queste passioni ed è venuto fuori “Buio”. A dire il vero prima di scrivere ho letto tantissimi romanzi di giallisti contemporanei e leggendoli ho pensato che tutto sommato avrei potuto farcela anch’io».
Aloigi, classe 1969, è uno che si lascia divorare dalle passioni e che alla fine ne trae profitto. La sua mania per gli angoli neri della vita lo ha portato a scrivere e a convincere una casa editrice, che di solito non si cimenta con il genere giallo, a pubblicare la sua opera prima.
«L’avevo proposto a loro soprattutto per chiedere un parere, perché davvero non sapevo se valeva la pena pubblicare quello che avevo fatto. Poi mi hanno chiamato e mi hanno detto che non solo valeva la pena ma che lo avrebbero pubblicato loro».
“Buio” l’ha scritto di notte e c’è voluto un anno e mezzo di lavoro. Adesso sta lavorando a due romanzi, un giallo e un testo che lui stesso definisce “un’altra cosa”: «non è un romanzo né un saggio né tanto meno un fumetto. È una mia ossessione che devo per forza realizzare, non so nemmeno se vedrà mai le stampe». La data fatidica per la sua discesa negli inferi del mondo noir è il 1977. Lui aveva solo 8 anni ma un tizio di nome Dario Argento aveva appena finito di girare “Suspiria”: film vietato ai minori ma divenuto negli anni una pietra miliare per la sua formazione.
Se “Buio” fosse un film come sarebbe?
«Come “La casa dalle finestre che ridono” di Pupi Avati», risponde sicuro. Tremendamente inquietante. Come ogni giallo che si rispetti.
Data recensione: 01/06/2006
Testata Giornalistica: Informatore
Autore: Silvia Gigli