chiudi

Il troneggiante «hotel particulier» dei Jacquemart-André, a Parigi, privato museo parallelo, riserva spesso mostre raffinate

Il troneggiante «hotel particulier» dei Jacquemart-André, a Parigi, privato museo parallelo, riserva spesso mostre raffinate. Ma d’abitudine si transita, più o meno di fretta, per le auliche sale, rigurgitanti di Donatello, Lippi, Lippini e Botticini, con certo piglio sospeso. Possibile che ci sia calco così trasognato ed illusivo di luminismo fiorentino rinascimentale, quasi posticcio, in piena Ville Lumière? Adesso, in questo serio gioco di «Andata e ritorno, IL Rinascimento da Firenze a Parigi», non solo le cose si fanno più chiare (con un documentato catalogo Polistampa, persino ridondante) ma lo sguardo si sgombra, letteralmente. «Staccando» quelle opere dal loro stipato sito a quadreria, a perdita di soffitto (e che soffitti, «rapiti» e prestigiosi, trattandosi per esempio del Tiepolo, della deprivata Villa Contarini!) e mostrandocene nude, nel più analitico sistema museale, cronologico lineare. Ma in un luogo non estraneo, anzi, doppiamente simbolico (andata e ritorno) perché si tratta della ricca villa dell’antiquario-collezionista Bardini, anzi il leggendario «Principe degli Antiquari», che non soltanto moltissimo collaborò a nutrire il ricco giacimento del Jacquemart-André, ma che impose, per autorevolezza e fascino, il suo stile, incomparabile ma clonabile, a quella replicata casa-museo. Minuziosamente «à la florentine». Così lo legge, con una qualche sfumatura ironica, anche l’influente ed inflessibile Berenson, vivendolo come una sorte di strano sogno jamensiano. Che lo trasporta per incanto da Parigi a Firenze, nelle nobilmente mercantili stanze del «rivale» Bardini, che stimava con riserva (che ubris, quelle gonfie stanze dannunziane, rifatte in stile, su papier peint cilestrini, color camicia d’Oxford , che non poteva tollerare, filologicamente!). Ma è anche vero che l sibilava alla sua pupilla bostoniana Isabella Steward, di cui era consulente e foraggiatore, e doveva pur distanziare la magnate americana dalla quasi derisa, e ingiustamente, concorrente parigina. La «parisienne» Nélie Jacquemart, che non ha certo lombi nobili, è però un’eccentrica interessante. Ritrattista mondana, in stile Winterhalter, ma allieva di Hérbert, conosce il ricco marito Edouard André durante una seduta di posa, e se lo impalma. Ma lui ha già una spasmodica passione collezionistica e ha convertito la sontuosa magione di Boulervard Haussmann, in un nascente museo. Fallito il sogno di diventare Ministro della Difesa, per il crollo del suo protettore Napoleone III, quel «guscio vuoto» deve trovare una collocazione. Lui, legato a un personaggio come Ephrussi, modello dello Swann proustiano, pensa a Rembrandt e a Fragonard. Lei, pur pittrice, sviluppa il gusto «bardiniano» per sculture, cassoni, deschi da parto, bronzetti (come si evince in mostra: Donatello, Verrocchio, della Robbia) e si costruisce, al primo piano, il suo «museo italiano». Probabilmente influenzata dal gusto del «décorateur» fiorentino, pittore, restauratore disinvolto, mercante illuminato, apprezzato da un Bode e dai Venturi. Acquistando prevalentemente da lui, con fiuto, magnifici Mantegna e Strozzi e Paolo Uccello. Ma, come capita all’epoca, facendosi anche rifilare imbarazzanti pastiche venereo-sifilitici-botticelliani, vedere per credere.
Data recensione: 04/11/2013
Testata Giornalistica: La Stampa
Autore: Marco Vallora