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Quello della Gioconda o Monna Lisa è tra i volti più noti della storia. Chi l’avrebbe detto alla dama che 500 anni fa posò per Leonardo! Sì, perché quest’anno il ritratto di Monna Lisa

LA GIOCONDA COMPIE 500 ANNI
Fu nel 1506 che Leonardo finì il suo quadro più famoso, anche se il genio vinciano non lo ritenne mai completato. Ma chi rappresentava davvero? Molti studiosi si sono cimentati con il dubbio: storia delle interpretazioni che si sono susseguite nel tempo. E del mistero che si cela in quel sorriso


Quello della Gioconda o Monna Lisa è tra i volti più noti della storia. Chi l’avrebbe detto alla dama che 500 anni fa posò per Leonardo! Sì, perché quest’anno il ritratto di Monna Lisa compie 500 anni. Leonardo lo iniziò nel 1503 e vi lavorò fino al 1506. È questa una data importante nella vita di Leonardo: lasciò Firenze per Milano ed ebbe i primi incarichi francesi. Il ritratto lo portò con sé fino al 1513 e forse oltre, in una lunga insoddisfazione.
Molto si è scritto sulla Gioconda fino alla mitizzazione. L’annversario ha stimolato nuovi contributi, come i recentissimi libri dello storico Giuseppe Pallanti (La vera identità della Gioconda, edito da Skira) e quello di Renzo Manetti che stabilisce un singolare confronto fra Beatrice e Monnalisa (Polistampa). Ma al lettore che voglia orientarsi con sicura bussola si raccomanda di attingere agli studiosi che a Leonardo hanno dedicato una vita di ricerca, primi fra tutti Carlo Pedretti e Pietro C. Marani. E come prima cosa apprendiamo che il mito è recente. È probabilissimo che Vasari descriva il dipinto in base al racconto d’altri. Non lo videro nemmeno il Lomazzo né Félibien, che nel 1666 lo descrive parafrasando Vasari. Il ritratto infatti era conservato negli appartamenti reali di Fontainebleau, poi andò nella Petite Galerie du Roi a Versailles e poi ancora nella stanza da letto di Napoleone. Seguì un breve tempo al Louvre per passare nel 1801 nella camera da letto di Joséphine. Solo dopo l’incoronazione di Napoleone nel 1804, il dipinto tornò al Louvre e diede inizio la stagione del mito.
Théophile Gautier, al colmo della glorificazione, collegò la grazia della figura leonardesca al culto dell’eterno femminino e della superiorità della donna teorizzata da Goethe nel 1831, e particolarmente con il mito della femme fatale. Gli studiosi romantici iniziavano a propagare il mito di Leonardo come uomo universale dotato di poteri quasi soprannaturali. Come si vede, la storia si ripete, se pensiamo alle gratuite sparate del Codice da Vinci e dei suoi emuli. Coi piedi per terra e con un rigore scientifico che rende ancora più grande il genio di Leonardo, i nostri grandi studiosi cercano ricostruzioni credibili e suffragate da notizie certe o almeno dalla coerenza investiga. Per esempio, pensando al decantatissimo sorriso della Gioconda, si domanda Marani: «È davvero questo un sorriso misterioso, allusivo di una vita perpetua, o di un cumulo di esperienze "altre"? O non è, piuttosto, lo stesso sorriso che appare nella Dama con l’ermellino di Cracovia, nel San Giovanni Battista, nella Sant’Anna del Louvre? Non si riflettono qui gli insegnamenti del suo maestro, il Verrocchio?». Il sorriso nelle figure femminili era stato anche specialità di altri artisti fiorentini come il Rossellino o Desiderio da Settignano.
Insomma, certe interpretazioni, secondo Marani, «implicano una visione del mondo che non era quella di Leonardo».
Ma chi è questa donna? Ecco un altro enigma che ha scatenato fantasie di ogni specie.
Documenti scoperti negli anni Novanta confermano la narrazione del Vasari: «Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di mona Lisa sua moglie; e quattro anni penatovi, lo lasciò imperfetto». L’identificazione della Gioconda con la sposa del commerciante fiorentino in piena ascesa sociale, è la più semplice e la più credibile. Pedretti ha messo il dipinto in relazione a due disegni che ulteriormente lo inquadrano in tempo e luogo.
Tuttavia, prima del 1991 e cioè prima del ritrovamento di tali documenti, erano state avanzate molte ipotesi identificative: Adolfo Venturi (1925), in base al velo nero della dama e all’interpretazione che ne diede il poeta Enea Irpino, propose di riconoscere nella Gioconda la duchessa di Francavilla Costanza d’Avalos. Ma, ricorda ancora Marani, il velo nero era attributo comune delle dame fiorentine e in ogni caso va ricordato che Lisa Gherardini del Giocondo aveva appena perso un figlio. Lo stesso Pedretti, riprendendo una testimonianza di Antonio de Beatis del 1517, il quale dava come committente Giuliano de’ Medici, aveva proposto (1957) di identificare la dama con Pacifica Brandano, favorita di Giuliano a Roma. Tanaka (1977) proponeva Isabella d’Este. Altri una certa signora Gualanda. Qualcuno perfino la madre di Leonardo. Recentemente si è voluto vedere il ritratto di Bianca Sforza.

Ma l’identificazione ha un’importanza relativa nella ritrattistica leonardesca. Per comprendere la mens del maestro in questo genere (intento sempre moralizzante, ricorda Rodolfo Papa) basta guardare il ritratto di Ginevra Benci alla National Gallery di Washington (che contrariamente alla Gioconda ha un aria tristissima). La giovane donna si staglia sullo sfondo di un ginepro, allusivo al nome ma anche alla virtù. E sul retro della tavola si legge: Virtutem forma decorat (la bellezza adorna la virtù). Ciò che bisognava mettere in risalto in una dama del Cinquecento, più che la bellezza, era la moralità, la nobiltà d’animo, la purezza, la devozione… in una parola, la virtù. Ora, Leonardo non finì il dipinto di questa signora, come è evidente da alcuni particolari. Dal 1503 fino alla morte continuò a lavorarci con esasperante lentezza e insoddisfazione, come appare dalla radiografia, che mostra una figura di base alquanto diversa. L’artista insomma andò trasformando il ritratto di Lisa in un ritratto ideale. E in questa chiave va interpretato lo strano paesaggio sullo sfondo: senza nulla togliere agli studiosi che vi hanno visto, e a ragione, uno scorcio dell’aretino con il ponte di Buriano, va presa sul serio la "scoperta" di Pedretti sul senso aereo dei paesaggi leonardeschi composti da orizzonti mobili e da più punti di osservazione, come in una sequenza cinematografica. E questo apre nuove possibilità interpretative. Ma intanto, buon compleanno, chiunque tu sia.
Data recensione: 15/05/2006
Testata Giornalistica: Avvenire
Autore: Michele Dolz