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Il rapporto fra le forze politiche italiane e la causa di Israele non è mai stato semplice, specie negli anni successivi alla vittoriosa Guerra dei Sei Giorni

Il rapporto fra le forze politiche italiane e la causa di Israele non è mai stato semplice, specie negli anni successivi alla vittoriosa Guerra dei Sei Giorni (1967). Antichi pregiudizi e più pragmatici calcoli d’interesse hanno reso questa relazione estremamente difficoltosa, a maggior ragione quando la questione palestinese si è palesata come una fondamentale pedina del gioco di scacchi fra superpotenze. Nella diffidenza verso Israele e nella simpatia acritica verso il panarabismo, prima, e il movimento palestinese di Arafat, poi, confluirono sentimenti e stati d’animo dalle differenti radici: tutti più o meno riconducibili a un certo anti-americanismo terzomondista che vedeva proprio nel nodo irrisolto del Medio Oriente un terreno di confronto  a portata di mano. E solo in parte questa rotta è stata corretta con l’ascesa del fondamentalismo. In tale quadro la posizione coerentemente filo-ebraica è stata prerogativa per decenni di un esiguo segmento politico e culturale del nostro Paese. I partiti laici, in primo luogo, e fra questi il partito repubblicano di Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini, i radicali di Pannella, i liberali. Pochi democristiani, per la verità, e poi alcuni settori, anch’essi gravemente minoritari, della sinistra: Pietro Nenni, storicamente, e fra i comunisti Terracini, in tempi recenti Piero Fassino e non molti altri. Per gli amici di Israele si trattava di affermare una visione politica, certo, ma soprattutto culturale: nel senso di rintracciare nel sionismo una grande causa di libertà e di emancipazione. Nel solco della nostra vicenda risorgimentale che fu – a partire dalle Interdizioni Israelitiche di Cattaneo – il modello di riferimento per il riscatto nazionale dell’ebraismo. È stato proprio Spadolini, uno dei maggiori interpreti della linea di amicizia verso Israele, a sottolineare nei suoi studi la particolare ispirazione che Teodoro Herzl trasse dagli insegnamenti di Mazzini. Oggi questo aspetto è messo bene in luce dal saggio che Valentino Baldacci dedica allo statista e storico fiorentino nel suo lungo nesso con la questione ebraica e lo Stato d’Israele. Il percorso spadoliniano coincide, come si è detto, con una scelta culturale prima che politica, ma diventa presto un cammino a ostacoli tutto politico nel rifiuto di ogni opportunismo. Lo si vedrà nel caso dell’Achille Lauro e non solo. Senza Spadolini, con la sua ferma condanna delle suggestioni terroristiche assai prima dell’11 settembre, la voce dell’Italia nel Mediterraneo sarebbe stata più flebile e conformista. Il lavoro di Baldacci si vale della prefazione di Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche; di una premessa di Cosimo Ceccuti, presidente della Fondazione Spadolini Nuova Antologia; e di un ricordo di Amedeo Mortara, cui il libro è dedicato, scritto dalla figlia Raffaella.
Data recensione: 25/08/2013
Testata Giornalistica: Il Sole 24 Ore
Autore: Stefano Folli