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Il primo monumento in cui si imbatte chiunque arrivi a Firenze in treno è un capolavoro di Leon Battista Alberti: la facciata marmorea di Santa Maria Novella

Il primo monumento in cui si imbatte chiunque arrivi a Firenze in treno è un capolavoro di Leon Battista Alberti: la facciata marmorea di Santa Maria Novella. Avendo dinnanzi agli occhi i modelli della tradizione romanica fiorentina (dal Battistero di San Giovanni a San Miniato) e vagheggiando i modelli della gloriosa architettura romana (coi quali si era già misurato nella realizzazione del Tempio Malatestiano di Rimini), il “Vitruvio Fiorentino” (così era soprannominato l’Alberti) compì in Santa Maria Novella un miracolo di bellezza. Come recita la grande iscrizione latina sotto il timpano della facciata, quest’intarsio geometrico di marmi bianchi, verdi e rossi venne commissionato all’architetto da «Johannes Oricellarius», cioè Giovanni Rucellai, l’imprenditore dei tessuti più ricco della città. Siamo a metà Quattrocento. Giovanni Rucellai era talmente ricco da possedere un intero isolato a due passi da Santa Maria Novella. E dunque, tanto che c’era, chiese a Leon Battista Alberti di edificargli anche il Palazzo di famiglia, a tre ordini classici, e di costruirgli davanti una grande Loggia, sotto la quale la famiglia Rucellai avrebbe celebrato pubblicamente «gioie e dolori», vale a dire matrimoni e funerali. E tra i matrimoni è necessario assolutamente menzionare quello politicamente strategico che vide Bernardo Rucellai, figlio di Giovanni, convolare a nozze con Nannina de’ Medici, figlia di Piero e sorella di Lorenzo il Magnifico.
Queste meraviglie architettoniche – la facciata di Santa Maria Novella, il Palazzo e la Loggia Rucellai – sono tutte ben visibili. Ma c’è, a pochi passi da qui, una «quarta meraviglia» che Alberti realizzò per Giovanni Rucellai: la cappella Rucellai in San Pancrazio alle spalle del Palazzo. Al contrario delle altre tre, questa «quarta meraviglia» albertiana è praticamente sconosciuta a tutti, fiorentini compresi, perché da tempo immemorabile è chiusa al pubblico e visibile solo in rare e specifiche occasioni. La notizia positiva è questa: che proprio da oggi la cappella Rucellai di San Pancrazio torna a essere aperta al pubblico, magnificamente restaurata e inserita nel percorso di visita del bellissimo Museo Marino Marini, che dal 1988 ha trovato sede proprio nella sconsacrata chiesa di San Pancrazio alla quale è annessa la cappella.
Chiunque verrà da oggi a visitare questo luogo, non resterà solo a fiato mozzo nell’ammirare la sublime qualità dell’architettura albertiana, segnata da volumi solenni e perfetti, dalla volta a botte imponente e da tre finestroni classici di inaudita eleganza, ma verrà preso da un autentico soprassalto emotivo nel trovarsi improvvisamente davanti a un "oggetto" spettacolare, piazzato proprio al centro della cappella. Stiamo parlando del sacello in marmi policromi bianchi e verdi che riproduce il Santo Sepolcro di Gerusalemme, una sorta di micro-architettura che Leon Battista Alberti realizzò per Giovanni Rucellai attorno al 1467, come recita la lapide latina posta sopra la porticina del sacello stesso.
Frutto della concorde collaborazione di molti enti (la Curia Arcivescovile fiorentina, proprietaria della cappella, la Fondazione Marini di Firenze, la Fondazione Marino Marini di Pistoia, l’agenzia del Demanio, la Soprintendenza fiorentina e l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze), il mirabile restauro della cappella e del sacello dell’Alberti è stato condotto con sapiente pazienza da Vincenzo Vaccaro, Alessandra Marino e Rosella Pascucci della Soprintendenza fiorentina, secondo un progetto condiviso e finanziato dal Museo Marino Marini.
Le vicissitudini storiche della chiesa di San Pancrazio avevano portato alla separazione netta della chiesa dalla cappella Rucellai. In origine, Leon Battista Alberti l’aveva progettata aperta sulla navata, a sinistra, mediante un grandioso varco sorretto da due possenti colonne. Vasari – che non amava molto Leon Battista Alberti – restò stupito dell’ardimentosa soluzione del varco. Nel 1808 la chiesa venne soppressa e trasformata in sede dell’Estrazione del Lotto napoleonico (poi diventerà caserma e deposito di munizioni). Per salvare la cappella, i Rucellai murarono il varco albertiano e smontarono le due colonne, che vennero poi riciclate e poste sulla facciata dell’ex chiesa di San Pancrazio (dove ancora possiamo ammirarle). La muratura della cappella rappresentò la sua salvezza, e anche la salvezza del tempietto del Santo Sepolcro che si trovava all’interno.
Isolata per oltre 200 anni e accessibile solo da una porticina esterna aperta su via della Spada, la cappella Rucellai e il suo tempietto sono ora di nuovo collegati con l’interno della chiesa, grazie a un discreto varco moderno, realizzato in occasione del restauro, che permette d’inserire questo gioiello rinascimentale nel percorso di visita del Museo Marino Marini, museo che – assieme alle opere appartenute al grande artista del Novecento italiano – offre anche mostre periodiche su artisti contemporanei, allestite nella cripta sottostante.
Ma veniamo al tempietto del Santo Sepolcro che – per la sua bellezza e il suo ritrovato nitore – lascia oggettivamente stupefatto chiunque si avvicini. Nel luogo predisposto per la sua sepoltura, Giovanni Rucellai aveva voluto porre la riproduzione del Santo Sepolcro conservato nell’Anastasis di Gerusalemme, edificio ben noto in Europa grazie a diari e disegni di pellegrini reduci della Terra Santa. Alberti modellò una micro-architettura a pianta rettangolare con una finta abside e la rivestì all’esterno di lastre di marmo bianco di Carrara e verde di Prato, coronandola con un merletto di gigli, allusivi al “fiore” di “Florentia”. Sul tetto pose una lanterna in legno (a imitazione del marmo) per dare luce all’interno e sfiato ai ceri votivi. Dentro il sacello, le pareti vennero affrescate a finto marmo con un cielo stellato sulla volta e una Pietà, una Deposizione e una Resurrezione sulle lunette e sulle pareti, tutte pitture ora attribuite a Giovanni da Piamonte, il principale collaboratore di Piero della Francesca ad Arezzo.
L’esterno è un’autentica meraviglia: l’iscrizione di dedica in facciata ribadisce il tema devozionale di Giovanni Rucellai: una sepoltura che ripeta quella di Cristo a Gerusalemme. Una grande scritta latina in alto – vergata a lettere capitali romane ingentilite dalla fantasia dell’Alberti – gira tutt’intorno al tempietto e dice così: «Cercate Gesù Nazareno, il crocifisso? È risorto, non e qui! Ecco il luogo dove lo deposero». Il paramento esterno è composto da trentatré pannelli (come gli anni di Cristo) a intarsio marmoreo, scanditi da eleganti paraste. Trenta di questi pannelli recano al centro dischi policromi con motivi geometrici (alcuni dei quali riconducibili ai temi salomonici del sigillo e della melagrana) e con imprese araldiche ben riconoscibili: il mazzocchio con tre piume, impresa di Cosimo il Vecchio, il fanello con diamante e due piume di Piero de’ Medici, i tre anelli intrecciati di Lorenzo il Magnifico. Sul lato che si offriva in origine alla vista dalla chiesa, campeggia invece l’emblema dell’imprenditore Giovanni Rucellai: la celebre vela spiegata al mutevole vento della fortuna.
Per entrare nei segreti del tempietto il visitatore verrà molto aiutato dal video introduttivo – realizzato da Alberto Salvadori (direttore del Museo Marino Marini) con testi di Katia Mazzucco –, da una guida a cura di Vincenzo Vaccaro (Edizioni Polistampa) e da una nuova App realizzata in italiano e inglese da Frankestein Srl e Studio Neri Torrigiani, che consente di interagire con il Museo Marino Marini e con tutti i tesori in esso contenuti, dal Quattrocento ai nostri giorni.
Data recensione: 17/02/2013
Testata Giornalistica: Il Sole 24 Ore
Autore: Marco Carminati