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Sant’Arcangelo, oltre a esser stata “matria” di Scardaccione e del maestro Michele Lufrano, patria di De Filippo e patrigna della “santarcangiolese” del “Cristo”

Sant’Arcangelo, oltre a esser stata “matria” di Scardaccione e del maestro Michele Lufrano, patria di De Filippo e patrigna della “santarcangiolese” del “Cristo”, borgo collinare come altre decine della Lucania della Basilicata di marginalità e sole, luogo di ritrovamenti “storici”al pari di diversi altri della Basilicata che vide passar non solamente gli “ebrei”, ospitò - e il termine lo spiegheremo più avanti -, la nascita del marinaio prima e, quindi, scrittore Giuseppe Brancale. E se oggi, che dat empo sappiamo del poeta Domenico oppure dello stesso figlio di Giuseppe, giornalista e autore pure questo di versi, Michele, vogliamo colmare una grande lacuna entrando meglio nelle opere, ma passando appunto prima dalla biografia, dello scrittore Giuseppe. Dati i primissimi vagiti l’8 settembre del ’25,il futuro scrittore già all’età di 15 anni - ecco spiegato il vocabolo “ospitò” di qualche riga fa - s’arruolò a Napolinella Marina; il primo colpo di cannone della Seconda guerra mondiale, infatti, lo scaraventò nell’impiego di radiotelegrafista imbarcato. Chiuse, se ancor così si può dire, le ostilità della guerra guerreggiata, Brancale rientra nella sua terra dopo aver varcato le soglie delle sedi di studio a Firenze, Bologna e Taranto. Dopo, soprattutto, lo ricorderà per esempio il figlio Michele che è stato anche prefattore dell’edizione del “Rinnegato” del quale e della quale parleremo più avanti, aver subito traumi difficili da superare. Costretto sempre dalle esigenze, si farà rivedere dai suoi paesi: tanto che per anni insegnerà sia nella sua Sant’Arcangelo che nel prossimo Castronuovo Sant’Andrea. Continuando, inoltre, l’opera politica d’alfabetizzazione delle fasce più deboli della società, con scuola serale ai figli dei contadini e prima agli operai nel dopo-lavoro (esperienza fiorentina). Il primo testo scritto di Giuseppe Brancale si titolerà “Avanti, Cristo”, però uscirà solamente, rivisto e rivisitato, in prima edizione nel 2007 coi tipi della fiorentina Polistampa e col titolo “Il rinnegato”- reso tra l’altro ancor più interessante dall’appendice: un saggio-lezione sulla questione meridionale. Fortemente suggestionato dal libro culto di Levi, Il rinnegato, che adesso fa parte dell’opera omnia di Brancale curata da Michele Brancale e dal direttore del Centro studi umanistici dell’Abbazia di San Savino, Luca Nannipieri, Il rinnegato racconta dalla microscopica e gigante vita di Migalli le premesse, il compiersi e il dopo dell’Unità d’Italia. Passata attraverso gli occhi del patriota “rinnegato”, in più, Giuseppe Prestone. Perché Migalli è mondo. Agli eventi storici, partecipa. Dando sangue. Coraggio e anche dolori, soprattutto. Esperienze che sanno di povertà e oppressione, come a volte della possibilità di riscatto che sappiamo bene non arriverà. Mai. Testimonianza sicura e incontrovertibile dell’esistenza stessa della questione meridionale. I paesaggi intensi, e non solo quando son campi di battaglia, sono destinati poi a ricomparire nel torrenziale e in seguito fortunato “Echi nella valle”. In veste di critico, Vito De Filippo introduce d’altronde perfettamente gli elementi che sono del romanzo. Libro che uscirà per la prima volta da due editori diversi e a distanza di due anni, 1973-1975 (Pellegrini /Teorema).E nato, non a caso, da una costola, se possiamo dire banalmente, del Rinnegato: “Circa duemila anni dopo dalla sua stessa famiglia, emerge Andrea Salinatore, contadino e pastore, richiamato dalle sirene coloniali. “Le sorti di Marco Laviano e Andrea Salinatore si incontreranno misteriosamente sulla torre che i Romani avevano costruito sul monte Alto per tenere sotto controllo la valle dell’Agri. Nello svolgersi della trama, il romanzo assume tratti gotici”, (Nannipieri). Sintesi che ci presenta già l’antefatto pre-moderno, il genere della prova letteraria, il ritorno di vicende di sentore coloniale. Apprezzato da Levi quanto da Soldini, infatti Echi comincia con un viaggio indietro nel tempo. Perché la Basilicata dei Lucani non è la Basilicata dell’Ottocento, né quella successiva insomma. Massacrati dai Romani nonostante la resistenza guerrigliera che apparterrà in futuro ai briganti, i Lucani sono i nostri antenati. E sicuramente molto simili a noi, anzi quantomeno alla nostra miglior immagine o alla nostra miglior versione. Le pagine di Echi ricordano i disboscamenti dei conquistatori. Ché ai Lucani per far male devi toglier gli alberi. Privarli del sostentamento, in pratica. Povertà e poi miseria sono dichiaratamente oggetto e perfino soggetto della trama. Le spinte moraliche posson agire in un Andrea Salinatore che se ne va nella guerra coloniale e, al contrario, nel Marco Laviano che invece ritorna alla sua terra d’origine. Nel giallo “Fantasmi che ritornano”, di continuo, “Brancale prende in esame la fine degli anni Cinquanta e gli inizi dei Sessanta, con la grande trasformazione della Valle dell’Agri liberata, attraverso la diga del Pertusillo, dalla minaccia di un fiume che si rendeva incontenibile e che ora veniva imbrigliato, segnando di fatto il passaggio dal mondo contadino a quello industrializzato, con le sue prime ricadute sul vivere comune”. (Nannipieri). Con questo “espediente”, che i curatori della pubblicazione riportano addirittura nelle due versioni a noi giunte, l’asciutta potenza, quindi una sorta di prepotenza della ragione e del pensiero, ovvero l’analisi pura dell’esistente, Brancale nuovamente porta la natura al centro. Ovvero Giuseppe Brancale, alla stregua dell’utilizzo del simbolico motivo del disboscamento, descrive i cambiamenti della storia e della vita degli uomini, dunque, con il mutamento del paesaggio e con la rappresentazione pulsante delle movenze e di certa immobilità della natura, di fauna e flora. Le immagini, in effetti, questo ci dicono. E lettrici e lettori, professionali e non professionali, non posson che ritrovarsi negli ambienti delle pagine. Che così son composti. L’uomo, il soggetto umano, ieri persino il mago in Echi quanto oggi il giudice nei Fantasmi, a confronto poca cosa, sono.“Lettere a Michele” esce in libreria per la prima volta nel ’77, quindi appena due anni prima della scomparsa dell’autore. L’edizione Polistampa, invece, che chiude il magnifico cofanetto buono alla rivalutazione, se ci possiam permettere, d’un intransigente scrittore meridionale e intransigente intellettuale meridionalista, anche questo compiuto da una copertina nata da un quadro di Giampaolo Talani, unisce il romanzo breve dedicato a un caro amico, il medico Di Gese, e strutturato proprio in lettere-cartolina e altri racconti ritrovati. Nel romanzo epistolare di Brancale, la religione appare sotto le spoglie delle visioni. Celesti poco, forse. Epperò sicuramente tutte terrestri. Ovvero sempre e nonostante tutto, mondi/ambiente a parte, il “cunto” del portatore di memoria trascrivere miraggi, che sono di certo per noi del presente davvero miraggi. Ma per le donne e gli uomini dei tempi raccontati più che visioni, realtà. Giuseppe Brancale, scrittore canta-storie e intelligenza progressista del nostro Meridione, non fosse stato stroncato dalla malattia che ferma le menti infaticabili e i volenterosi, non si dimentichi che similmente perdemmo Scotellaro, molto altro avrebbe dato ai posteri.
Data recensione: 09/12/2012
Testata Giornalistica: Il Quotidiano della Basilicata
Autore: Nunzio Festa