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È in libreria un nuovo libro di Francesco Gurrieri Guasto e restauro del paesaggio (402 pp., Polistampa, Firenze 2011, e 26,00).

L’aggressione a patrimonio e ambiente ha radici negli anni del boom
È in libreria un nuovo libro di Francesco Gurrieri Guasto e restauro del paesaggio (402 pp., Polistampa, Firenze 2011, e 26,00). Libro intelligente, appassionato, documentato, civilissimo, inoltre utile grazie ai numerosi apparati posti in calce al volume: dalla ristampa del nuovo «Codice dei beni culturali», a testi che affrontano e dipanano temi assai speciosi: ad esempio la storia dei «Primi piani paesistici», in cui Samuele Caciagli descrive con precisione quanto accaduto negli anni tra il 1939 dell’emanazione della legge Bottai sulla tutela delle «bellezze naturali» e l’avvento delle Regioni, nel 1970.Ma anche un libro, questo di Gurrieri, che non può non condurre a una più ampia riflessione sull’inconsulta aggressione condotta al carattere fondamentale del patrimonio artistico italiano, quello che lo rende unico: l’indissolubilità dall’ambiente in cui è andato stratificandosi in millenni. Un’aggressione del rapporto tra patrimonio e ambiente alla cui radice si trova, almeno a mio parere, la necessità in cui il Paese si è improvvisamente trovato negli anni del boom economico, quelli che iniziano nel secondo dopoguerra e si chiudono alla fine degli anni ’60. Anni colmi di speranze in un generale riscatto socio-economico del Paese, anni in cui, a cent’anni dal 1861 dell’unità risorgimentale, televisione e autostrade realizzano la vera unità politica dell’Italia, anni in cui un’economia in forte crescita rende necessaria una capillare presenza nel Paese di un ceto dirigente: pubblico e privato. Un ceto dirigente che non c’era nei numeri necessari, perciò da formare. Con un problema: che nemmeno c’erano nei numeri necessari i formatori. Risultato? Il popolo italiano si è dovuto in gran parte autoformare, divenendo in una cinquantina d’anni in gran parte un popolo di autodidatti, ivi compreso il suo ceto dirigente. Ciò con inevitabili contraccolpi sul Paese.Esempi. Nel più completo spregio d’una preventiva e più che profonda e condivisa riflessione sul senso del passato nel mondo d’oggi (quella che, in Italia, dovrebbe essere alla base delle azioni di chiunque abbia potere decisionale in materia di beni comuni), accade che un architetto dica alla radio che Roma è una città di torri come San Gimignano, anzi la era; perciò sulla base delle torri che ci sono, ma non si vedono, lui ne ha costruita all’Eur una nuova, alta come la cupola di San Pietro e dalla cui sommità «si vede il mare e, alla sera, il panorama è bellissimo». Intanto un altro architetto sta addossando al quattrocentesco e glorioso «Ospedale Vecchio» di Parma uno scatolone di cemento armato a due piani; e altri architetti e ingegneri, a Milano, stanno costruendo un enorme parcheggio di fianco alla Basilica di Sant’Ambrogio; e ancora un architetto, a Venezia, progetta di demolire il provvisorio, ma comunque secolare e perfettamente storicizzato, ponte dell’Accademia, per costruire al suo posto un inutile, costoso. incongruo e banalissimo ponte «alla Calatrava». E ancora accade che un soprintendente affidi per iscritto, su lettera protocollata, il restauro di uno dei capolavori della pittura italiana a un restauratore e un mese dopo gli revochi l’incarico dicendo di essersi sbagliato, «perché di lettere ne firmo cento al giorno» e che un geometra comunale diplomato alle serali e promosso grazie ai sindacati al ruolo di direttore di lavori di restauro, voglia far tagliare le braccia a una statua in bronzo, perché altrimenti non la si riesce a togliere dal basamento originale. Ciò con l’assenso di un restauratore che si dice in grado di fargli avere dalle Soprintendenze i regolari permessi. E accade che il presidente d’una Regione con un territorio a fortissimo rischio idrogeologico firmi una legge che consente di abbreviare le distanze per costruire nuovi edifici sulle rive dei fiumi da dieci a tre metri; e che un ministro creda davvero, e lo dica ai giornali, che esista un tunnel da Ginevra al Gran Sasso in cui viaggiano dei neutrini. Eccetera, eccetera, eccetera.Tutto ciò, ovviamente, non riguarda il bel libro di Gurrieri, ma con qualche riserva. Manca un qualsiasi accenno alla figura di Giovanni Urbani, padre della conservazione del patrimonio artistico in rapporto all’ambiente. Nella «bibliografia essenziale» (mai un filosofo direbbe «essenziale» una bibliografia), sono citati due volumi di Salvatore Settis, non però, benché uscito un anno prima di quello di Gurrieri, Paesaggio Costituzione Cemento, libro esemplare per capacità di valutazione storica, precisione del dettaglio e impegno civile. Nulla infine si dice di chi ha progettato e sta progettando gli immondi edifici speculativi benedetti dalla politica, tutta la politica, che rendono invivibili le periferie italiane e sempre più irresponsabilmente deturpano il paesaggio storico dell’Italia: gli architetti, sia progettisti sia urbanisti.
Data recensione: 01/12/2011
Testata Giornalistica: Giornale dell’Arte
Autore: Bruno Zanardi