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«Lettere di un povero diavolo», a cura di Gabriel Cacho Millet, è il resoconto del carteggio di Dino Campana tra il 1903 e il 1931. Spiccano, tra i destinatari, Giorgio Morandi, Aleramo, Cardarelli, Papini, Verga

«Lettere di un povero diavolo», a cura di Gabriel Cacho Millet, è il resoconto del carteggio di Dino Campana tra il 1903 e il 1931. Spiccano, tra i destinatari, Giorgio Morandi, Aleramo, Cardarelli, Papini, Verga. Oltre alle lettere di Campana testimonianze epistolari mai pubblicate prima arricchiscono la raccolta, gettando luce su questioni irrisolte. Frammenti scovati nel “buio”, rubati all’oblio, innalzano “pietra su pietra” un monumento alla memoria del poeta “disperato e sperso nel mondo” (così si descriveva Campana). Oggi, riconosce Millet, disperse nel mondo sono le sue lettere. Una sorte infelice, a dire dello studioso Bonifazi, simile a quella del loro autore. La ricostruzione del Carteggio è una sfida: inquadrare Campana, ordinarlo. Il risultato, composito, abbagliante, non è mai definitivo. Eppure il lettore, sfogliando le pagine sfiora quel mondo e a tratti vi affonda. Di certo si è un po’ più vicini, non alla logica della poetica, o al mistero dell’arte, ma al “sentire” campaniano, sempre lucido, intenso, teso alla poesia. Oltre quattrocento le pagine, tra un massiccio corpo di epistole e tre appendici ricchissime di documenti poco noti. Nella prima Campana è un nome che circola: lo afferriamo per bocca d’altri, nel suo tempo, nel nostro. Stefano Drei cura l’Appendice II, foto smarrite, recuperate: è di scena l’appassionante avventura della ricerca iconografica. L’Appendice III, curata da Millet, rivela un Campana melodico attore di versi non suoi; sentiamo quasi il tocco malinconico del suo pianoforte, alla periferia di Buenos Aires: è un tango, “pensiero triste che si balla” dirà Discepolo, ci racconta Millet. Torniamo così a pensarlo emigrante: le sue epistole “da povero diavolo che scrive come sente” (altra auto descrizione) dicono il lato emotivo del viaggio, i colori del mare, la Pampa «quella cosa - non manca Millet di ricordarlo con parole del Lorca - più malinconica del mondo. La più trafitta di silenzio». Musica e silenzio, inferno ed estasi, internamento, viaggio, sembra che i contrari, e solo quelli, sappiano dar conto della complessa profondità di spirito di un autore sfuggente, ribelle a ogni ricomposizione. Forse è per immagini, grafiche e verbali, che possiamo afferrarne l’essenza, come ha ben capito Millet. La più eloquente descrizione resta la sua, in Prefazione. C’è un emigrante diretto a Buenos Aires: ha con sé una pistola belga calibro 38, e «Leaves of Grass», di W. Whitman. Nel suo passaporto qualcuno annota «scrivano». Un uomo in viaggio, senza un posto preciso nel mondo. Per sopravvivere: un’arma da fuoco e la poesia.
Data recensione: 29/01/2012
Testata Giornalistica: La Sicilia
Autore: Irene Giuffrida