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Un’eccezionale testimonianza che i valori dell’Illuminismo, negli anni Ottanta del Settecento, non guidavano solo i moti rivoluzionari americani e francesi.

Un’eccezionale testimonianza che i valori dell’Illuminismo, negli anni Ottanta del Settecento, non guidavano solo i moti rivoluzionari americani e francesi. Ma anche la riorganizzazione politica di strutture chiave della modernità, cioè gli ospedali. Il Regolamento dei Regi Spedali di Santa Maria Nuova e di Bonifazio, ristampato a cura di Esther Diana e Marco Geddes da Filicaia, può essere ancora letto con utilità, per alcuni insegnamenti morali che contiene,dopo oltre duecento anni. E anche con il piacere di farsi catturare da una scrittura che non ha nulla a testi letterari dell’epoca ben più celebrati. Come accade per diversi testi scritti nell’italiano moderno, il fatto di dover usare la lingua per argomentare e comunicare, più che per perorare, rende questi scritti, che riguardano più spesso materie scientifiche o giuridiche, di gran lunga migliori delle prose trombonesche e arzigogolate, ai limiti dell’intelligibile e del sopportabile, che a tutti è toccato di leggere a scuola. Si pensi, tanto per non far nomi, a un Vittorio Alfieri.
Redatto dal Commissario senatore Marco Girolamo Covoni, uomo di fiducia del granduca Leopoldo per le questioni ospedaliere, e dato alle stampe nel 1789, il Regolamento era il punto d’arrivo di un processo durato 250 anni, nel corso dei quali gli ospedali erano passati da mere strutture assistenziali, dove povertà, marginalità sociale e malattia erano praticamente sinonimi, a luoghi di insegnamento, ricerca e cura. Il Regolamento fiorentino non è certo il primo del genere, ma diventerà un modello europeo per le giustificazioni e il modo di illustrare e articolare il governo di un sistema ospedaliero. In primo luogo si insiste sul concetto che malattia e disagio economico-sociale sono problemi diversi, e se vengono confusi non si fa il bene della popolazione. Ora, senza un regolamento «il miglior servizio degli aumentati infermi», reso possibile da diversi avanzamenti della clinica medica, non avrebbe diminuito irregolarità e abusi.
L’organigramma degli ospedali viene illustrato graficamente attraverso un albero, dove il tronco è costituito dalla direzione politica, incarnata in un Commissario praticamente onnipotente sul piano amministrativo, il quale però è coadiuvato per gli aspetti tecnici da un Soprintendente all’infermerie dei Due Spedali. La scelta dell’albero, dove le ramificazioni illustrano le diverse mansioni, non era casuale, essendo l’emblema cognitivo della nosologia settecentesca.
Presso il Santa Maria funzionava una scuola di medicina e chirurgia, la cui attività era dettagliatamente regolamentata per dare efficienza al sistema. E, per cominciare, i «postulanti» che chiedevano di accedervi non erano selezionati per anzianità, ma per «merito». Inoltre i docenti dovevano valutare l’apprendimento e identificare coloro i quali fossero portati per la dissezione del cadavere o la chirurgia, in modo da guidarli verso l’eccellenza. La superiorità dell’insegnamento della medicina al letto del malato è ribadita più volte, così come di una solida esperienza formativa per l’apprendista chirurgo. Spicca la netta separazione tra ruoli religiosi e professionali. Nonché si evincono i primi elementi di rispetto per la volontà del paziente: per esempio si riconosce il diritto a un secondo parere medico.
Non meno interessanti sono le pagine dedicate allo «Spedale dei Dementi, loro Fabbrica, Ammissione, Classi, Trattamento e sistema relativa». Vi si colgono le idee illuminate di Vincenzo Chiarugi, che portava per primo in Italia le nuove idee sulla follia come malattia della mente, che fu alla base della nascita della psichiatria, ed ebbe enorme e positivo impatto per la diffusione di un trattamento più umano ed efficace dei cosiddetti «pazzi».
Data recensione: 10/07/2011
Testata Giornalistica: Il Sole 24 Ore
Autore: Gilberto Corbellini