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L’autoritratto è uno dei temi più affascinanti e a un tempo più complessi. Gran parte del suo fascino deriva anzi proprio dalla sua complessità

“Artiste di capriccioso e destrissimo ingegno”, in mostra 80 opere alla Galleria degli Uffizi
L’autoritratto è uno dei temi più affascinanti e a un tempo più complessi. Gran parte del suo fascino deriva anzi proprio dalla sua complessità, dalla molteplicità di significati che può racchiudere e dalla difficoltà di intenderne, caso per caso, se non l’unico, almeno il principale. Molto spesso un autoritratto vale più di tanti quadri e molto più delle parole per comprendere gli intenti di un artista. Può comunicare quello che l’artista confessa di essere, può dirci come vuole che gli altri lo vedano. Può rivelare quello che, nel momento in cui si è visto riflesso, inconsciamente pensava di se stesso. All’autoritratto è stata dedicata recentemente a Firenze una mostra alla Galleria degli Uffizi (17 dicembre 2010-30 gennaio 2011) di cui vale la pena dare notizia, anche in tempi successivi alla sua chiusura (vedi Archivio mostre in www.uffizi.firenze.it/mostre), per diversi motivi. Perché ha contribuito a dare il giusto risalto alla raccolta di Autoritratti degli Uffizi che è una splendida e invidiata particolarità del massimo museo italiano. Ebbe inizio dal 1664 quando il cardinale Leopoldo, cadetto di Casa Medici, ordinò al Guercino il suo autoritratto. Ma soprattutto perché si è trattato di una mostra che ha avuto il merito di proporre all’attenzione del pubblico la presenza di artiste note, o mai viste, delineando le principali linee di tendenza dell’evoluzione del genere. Autoritratte, dunque, non autoritratti. Un termine scelto non a caso per creare curiosità e costituire, forse, una ri- sposta rivelatrice per quei tanti che ancora si chiedono “Artiste-ah, ce ne sono?”. Ottanta le artiste in mostra: una carrellata di volti femminili dal Rinascimento fino ai nostri giorni, dal ritratto in miniatura di Properzia de’ Rossi ammirata dal Vasari, alle fotografie di Vanessa Beecroft, ai video di Antonella Bussonich, ai collage di Lucia Marcucci. Si tratta di una parte minima dell’intera Collezione che conta ben 1700 autoritratti, ma di cui le opere di mano femminile sono solo il 7 per cento. Considerazione questa che, senza voler fare un discorso rivendicativo, la dice lunga sulla storica condizione di subalternità della donna artista rispetto alle opportunità offerte all’universo maschile. Italiane o straniere, aristocratiche o borghesi, accreditate o sconosciute, per le artiste, fino a tutto l’Ottocento, l’autoritratto riveste una valenza di autopromozione ma è insieme rassicurante di una propria femminilità, socialmente subordinata. Elegantissime o in camice da lavoro, le artiste si mostrano spesso con gli strumenti del mestiere e non mancano di esaltare gli accessori: un gioiello, un fiore, una cintura. Ecco il bel volto rubizzo, l’eleganza sobria di un vezzo di perle e l’abito a piegoline di Marietta Robusti detta la Tintoretta di cui conosciamo solo l’autoritratto. A seguire le protagoniste del Cinquecento: la cremonese Sofonisba Anguissola, dama di compagnia e insegnante d’arte della regina Isabella di Valois, la bolognese Lavinia Fontana divenuta pittrice di corte del papa Gregorio XIII. Sono nomi ormai abbastanza noti, su cui si sono incentrati studi e ricerche, come quello di Rosalba Carriera conosciuta in tutta l’Europa del Settecento per i raffinati ritratti, o quelli di Elisabeth Vigée Lebrun e Angelica Kauffmann. Cresce, nell’Ottocento, il numero delle artiste straniere. Vengono dalla Svezia, dall’Inghilterra, dall’Austria, dall’Olanda, dalla Germania; ciascuna presenta, attraverso la sua immagine, le idee estetiche, la sua visione del mondo. Comunicativo di una visione vincente l’autoritratto dell’americana Cecilia Beaux tutto giocato sulle variazioni del rosso; di una personalità decisa quello di Elisa Ransonnet riassunta nella posa di profilo e nello sguardo; o quello di Therese Schwartze che si presenta con la mano alzata in atto di schermare la luce, citazione colta dell’autoritratto di Reynolds. Con l’avvento del Novecento, l’identità si frammenta. Narciso si guarda allo specchio ma lo specchio è ormai infranto e restituisce immagini ingannevoli che si affidano, a partire dai tardi anni Sessanta, al collage, al fotomontaggio, all’arazzo tessuto a mano. Carol Rama e Carla Accardi preferiscono rappresentarsi attraverso un solo insieme di segni astratti; Patti Smith e Ketty La Rocca con la fotografia che testimonia o mistifica, che denuncia verità imbarazzanti o conferma pose esibite. Il ritratto non è più effigie verisimigliante ma offre solo cenni di identità sfuggenti: sedimentate e affioranti dalla memoria in Giosetta Fioroni, criptiche o mascherate in Merret Oppenheim, in Jenny Holzer, rivendicative della propria identità di donna contro abusati stereotipi in Mirella Bentivoglio. Occorrerebbe presentare le artiste in singole monografie che aiutino a saperne di più sul mondo della creatività femminile, che esiste in buona quantità ma che è ancora poco conosciuta. Ricordando quello che scriveva Virginia Woolf: «Finché non avremo più fatti, più biografie, più autobiografie, non potremo capire la gente ordinaria e tanto meno quella straordinaria».
Data recensione: 01/03/2011
Testata Giornalistica: Leggendaria
Autore: Jolanda Leccese