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È nato tre anni prima che Cavour e Bettino Ricasoli creassero l’Unità d’Italia. Non sorprende, quindi, che le liriche coinvolgenti di Giacomo Puccini, insieme a quelle di Giuseppe Verdi

È nato tre anni prima che Cavour e Bettino Ricasoli creassero l’Unità d’Italia. Non sorprende, quindi, che le liriche coinvolgenti di Giacomo Puccini, insieme a quelle di Giuseppe Verdi, accompagnino i festeggiamenti del 150° compleanno tricolore. E proprio una delle sue opere di maggior successo, la Tosca, è stata dedicata dall’orchestra del Maggio musicale fiorentino, a nome dell’Italia intera, al Giappone vittima del terremoto e dello tsunami, riscuotendo dal pubblico di Yokohama 18 minuti di applausi. Così non solo a Lucca, Torre del Lago, Viareggio, ma in tuttala penisola e nel mondo si rende ancora omaggio al grande compositore – epigono di una singolare dinastia di musicisti – in attesa che nella sua casa natale, in corte San Lorenzo, possa aprire i battenti al pubblico, archiviato un lungo contenzioso, il museo permanente che la Fondazione, le istituzioni della città delle mura e la nipote Simonetta, hanno voluto dedicargli. Tanto si è scritto, ma forse ancora molto c’è da scoprire sul genio musicale e soprattutto sull’uomo Puccini, con le sue passioni travolgenti e palpabili debolezze. Come ha fatto in questi ultimi anni il giornalista e critico musicale Oriano De Ranieri. Dopo aver esplorato, sfogliando carteggi, i luoghi e i sentimenti intensi del Maestro, per tracciarne un ritratto completo, ora ha orientato le sue ricerche su un aspetto forse meno accattivante, ma più inedito: quello della religiosità, l’orizzonte della fede che ha accompagnato un artista non fortunato in amore e neanche nella vita, che ai trionfi ha alternato dolori e momenti difficili.
Oriano De Ranieri, è un giusto riconoscimento quello reso a Giacomo Puccini in alcuni eventi per i 150 anni dell’unità d’Italia?
«È bene ricordare che il nostro inno nazionale avrebbe potuto non essere “Fratelli d’Italia”, ma “I Figli d’Italia Bella”, un brano meraviglioso, marziale e melodioso, scritto da Puccini a soli 19 anni, rinvenuto casualmente dalla nipote Simonetta nel 2003. Sulla scoperta, nell’aprile di quell’anno, anticipai la notizia su “La Nazione”, ripresa poi dalla stampa di tutto il mondo. Lo spartito – ritrovato frammentario, come spezzato – fu ricostruito da monsignor Emilio Maggini. Puccini non avrebbe potuto partecipare al concorso, riservato a a maestri di musica e non a studenti di conservatorio».
Si sta riscoprendo la religiosità di Puccini. Perché questo «ripensamento»?
«Puccini aveva una personalità complessa. Fu uno dei primi fenomeni divistici del primo Novecento. La sua vita privata è stata scandagliata in maniera selvaggia. Ora gli studi più accurati tendono ad illuminare gli aspetti più intimi, religiosi, contrastando la visione di un Puccini ad una sola dimensione. È l’onesto approfondimento di un aspetto messo in disparte soprattutto per una diffusa mentalità secolaristica e pure per esigenze di mercato».
Ma è davvero palpabile, dalle tue ricerche, il rapporto del grande compositore con la fede?
«Ci sono tanti elementi per parlare di un maestro religioso. Nel 1904,dopo la morte del primo marito di Elvira, Narciso, fu celebrato il matrimonio fra la coppia di irregolari. Una situazione che tanto preoccupava la sorella monaca a Vicopelago. Iginia (suor Giulia Enrichetta) era la guida spirituale di Giacomo; che ebbe una grande amicizia anche col suo pretino, don Pietro Panichelli. Nel periodo della maturità Puccini pensava alla vita e alla morte; rifletteva sugli anni vissuti in ambiente religioso (era stato allievo del Seminario). A 19 anni – in pochi sanno – fu ammesso nella confraternita religiosa di S.Cecilia, che aveva accolto persino una pia principessa, Maria Teresa di Savoia, moglie del duca Lodovico di Borbone. Ma ancor prima era entrato nella confraternita della Madonna della Neve, nella chiesa di Santa Maria Nera, che vide muovere i primi passi di San Giovanni Leonardi. Negli ultimi giorni di vita (nel novembre 1924 a Bruxelles) Puccini si accostò ai sacramenti, impartiti dall’allora nunzio apostolico, poi cardinale, Clemente Micara».
Quali nuove testimonianze ha portato la nipote Simonetta?
«Simonetta Puccini ha sempre difeso e tuttora difende la memoria del nonno contro uno scandalismo invadente. Ma preferisce parlare del suo eccezionale genio musicale, delle sue opere. Però a volte sottolinea la grande umanità di Giacomo, il suo fare del bene anche in maniera nascosta, il suo sentimento religioso, con l’amore tutto speciale per la sorella monaca, quasi un vanto della famiglia».
Oltre alla musica sacra, quali sono le opere pucciniane di più intensa religiosità?
«I Puccini rappresentano cinque generazioni coinvolte nella musica religiosa a Lucca. Comunque, ad alcune opere come la “Messa a quattro voci con orchestra” e al “Requiem” il maestro aggiunge una sensibilità mistica intensa. L’opera lirica più religiosa è senz’altro “Suor Angelica”. Puccini ha saputo creare un’atmosfera celestiale. Per ispirarsi ha soggiornato, col permesso della Curia, nel monastero di Vicopelago. Tante opere pucciniane hanno spunti religiosi: basti pensare a “La Fanciulla del West” e alla via di redenzione per Dick Johnson, l’uomo amato da Minnie».
Si è spesso romanzato sulle brucianti storie d’amore del musicista. Ma i tuoi libri esaltano anche il rapporto con la madre Albina e le sei sorelle...
«Ricordo che “Puccini e le donne” (da me scritto con Mauro Lubrani e con il maestro Giuseppe Tavanti) rende omaggio proprio alle donne di casa Puccini. In particolare a mamma Albina: rimasta vedova giovane, ha saputo dare una professione dignitosa a tutti i figli. Giacomo, il prediletto, incontrò anche San Giovanni Bosco, che già in vita, aveva fama di taumaturgo, per chiedergli la grazia di guarire la madre malata di un tumore. Ho cercato anche di descrivere bene la monaca e la sorella preferita, Ramelde, a cui raccomandava di leggere spesso la Bibbia».
Quanto era legato alla Toscana? Che dire della sua variegata compagnia di amici, in gran parte artisti?
«Amava la nostra terra. Si stabilì per trent’anni a Torre del Lago gaudio supremo, poi a Viareggio. Raggiungeva spesso Lucca, a bordo di una delle sue tante automobili, per trovare i numerosi amici. Spesso visitava la campagna circostante, l’Abetone, Montecatini. Era “superbo” di Firenze, a cui volle dedicare Gianni Schicchi. Giacomo aveva un profondo senso della vera amicizia. Fondò il Club la Bohème, composto da artisti buontemponi, amanti della buona tavola e delle battute di caccia».
Puccini e Toscanini: grandi litigi e commosse pacificazioni? Come con Gabriele D’Annunzio?
«La sua amicizia con Arturo Toscanini fu contrastata, ma poi tutto si risolse in modo fraterno. Addirittura la tomba della famiglia Toscanini, nel cimitero di Milano, custodì i resti mortali di Puccini, fino a quando non fu pronta la sepoltura a Torre del Lago. Il discorso è diverso per D’Annunzio. Il Maestro non volle mai collaborare con il Vate: il poeta – diceva – “porta male al teatro lirico”».
Il mondo ci invidia ancora questo eclettico genio della musica?
«Puccini sa parlare alla nostra sensibilità di uomini del Ventunesimo secolo. Ovunque ci invidiano questo grande artista. I suoi fans crescono ogni anno in Europa, in Asia, in America. Basti dire che “La Bohème” ora è l’opera lirica più rappresentata al mondo».
La casa natale a Lucca, verrà riaperta e diventerà presto un museo permanente. La Fondazione e gli enti locali hanno un progetto per valorizzare il ricordo di Puccini?
«Per questo progetto si è molto impegnato il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio, l’avvocato Giovanni Cattani, recentemente scomparso. Certamente la città vorrà valorizzare un patrimonio tanto importante. Oltre le preziose testimonianze pucciniane custodite nel museo prima della chiusura, saranno fruibili tanti fogli autografi di Giacomo, recuperati dopo lunghe ricerche. Sono numerosi inediti, tra cui preziose lettere che faranno ancor più luce su una personalità poliedrica».
Data recensione: 27/03/2011
Testata Giornalistica: Toscana Oggi
Autore: Antonio Lovascio