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In questo nuovo libro Francesco Giuntini sperimenta per la prima volta il bilinguismo, e aggiunge a fronte la propria traduzione in inglese dei testi: con questo gesto, che compie per la prima volta, ci offre anche un altro strumento interpretativo del su

In questo nuovo libro Francesco Giuntini sperimenta per la prima volta il bilinguismo, e aggiunge a fronte la propria traduzione in inglese dei testi: con questo gesto, che compie per la prima volta, ci offre anche un altro strumento interpretativo del suo pensiero.
Come poi le sillogi precedenti (“La fabbrica del tempo”: “Il senso della misura”) anche questa conferma la vocazione dell’autore all’esattezza, uno dei valori letterari che (in un ciclo di conferenze per l’Università di Harvard) Italo Calvino invitava a conservare, quando mancavano ancora 15 anni all’inizio del nuovo millennio. Nel suo apologo dell’esattezza – ora il “Lezioni americane” – scriveva: “Esattezza vuol dire per me soprattutto tre cose:

1. un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato;
2. l ’evocazione di immagini visuali nitide, incisive, memorabili; in italiano abbiamo un aggettivo che non esiste in inglese, “icastico”, dal greco (…);
3. un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione”.
Elementi tutti presenti nell’opera di Giuntini, che l’ha così disegnata: sessantasette sonetti in endecasillabi sciolti, rigorosamente divisi in sette sezioni, undici nelle prime sei e uno nell’ultima (1. Carnevale a Venezia/Venice Carnival; 2. Groenlandia/Greenland; 3. Dal palazzo di vetro/From the Un Building; 4. Sul Delta del Niger / On the Niger Delta; 5. Il cambio dello Yen / Yen exchange rate; Terra del fuoco / Tierra del fuego; 7. I bambini del mondo / The children of the world).
Come rende subito evidente la struttura perfetta e ordinata – alla quale, come all’esattezza, l’autore ci aveva già abituati in opere precedenti –, il testo è scritto non solo in italiano (con testo a fronte in inglese), ma anche in linguaggio matematico, oltre che magistralmente poetico. La costruzione del libro, infatti, sembra avere profonde risonanze con la simbologia numerica, in particolaredel numero sette (quello delle sezioni), considerato sin dall’antichità simbolo magico e religioso della perfezione, centro invisibile di ogni cosa, unione tra il principio spirituale e quello materiale (3+4); il numero undici (quello dei sonetti presenti nelle sezioni) rimanda invece concretamente a un evento drammaticamente umano, l’attentato alle Torri gemelle dell ’undici settembre, che ha segnato una svolta nella storia del nuovo millennio e una ferita ancora aperta: a sostegno di questa mia interpretazione c’è il primo sonetto, intitolato appunto L’attentato. D’altra parte, il libro esplora il mondo reale del terzo millennio come in un reportage fotografico, in cui ogni composizione evoca un ’immagine del mondo, incisiva e memorabile. Scriveva l’autore in una lettera: “Il mio progetto era come un album di fotografie degli anni più recenti, al posto di ogni foto un sonetto. Il fotografo sarebbe rimasto dietro l ’obiettivo, non visibile. Non so se sono riuscito nell ’intento, o se a volte mi si intravede come una comparsa, nello stile dei film gialli in cui a volte appare il regista, nel ruolo di un passante che porta a spasso i cani”.
Attraverso la catena delle immagini si compie un viaggio nella città degli uomini, con un ’attenzione particolare a coloro che vivono a impatto zero, senza lasciare traccia, come uomini che non esistono, una moltitudine che adagio /per la terra trascorre. Quando infine /precipita, nessuno si dà pena (la vita inutile). Ad essi, al loro non esserci, l’ombra offre un fragile riparo, un nascondimento (…). Il reportage di sonetti racconta anche di un altro viaggio dentro la memoria che, come un difetto della retina, deforma le immagini e sfuma l’esattezza delle foto, ma lascia intravedere ciò che è invisibile ai sensi, come nella composizione La casa, in cui nulla è più tangibile e visibile dell ’inudibile presenza dei morti (…).
Nella memoria si confondono i sogni, si squarcia il velo dell’apparenza (Autunno della terra//o dello sguardo che riflette il segno/ nel cavo di se stesso, nell’intrigo/ delle storie e dei sogni ora confusi/ nella memoria. È trasparente il velo// che lo sguardo attraversa, nulla resta/ dimmenticato, muta l’apparenza/ della luce e l’effetto dell’immagine// sui moti del pensiero. Chi si ferma/ a guardare l’autunno, riconosce/ il sentiero dell’ombra/ i suoi colori).
Ma fragile è la parete dei sogni che può infrangersi/ nell’urto contro il tempo, in mezzo al vuoto. Fuori del confine/del senso percepito, il pensiero lascia intravedere il dualismo tra realtà e immaginazione, il gioco tutto umano dell’identità e della maschera che nasconde l’identità, il centro invisibile di ogni cosa. Motivo, quest’ultimo, già sotteso nel titolo della prima sezione Carnevale a Venezia e nel sonetto eponimo (…).
Viaggiando fuori dai confini del tempo e dello spazio col pensiero, svanisce, come in un sogno, l’apparente illusione di credulità nell’onnipotenza del visibile di chi guarda il mondo e la vita dell’uomo solamente con i suoi cinque sensi.L’unica certezza che all’uomo resta è di non poter sopravvivere che per poco fuori/ dal cerchio del destino, segnato dalla fortuna e dai cromosomi. Invano l’uomo tenta il viaggio fuori dai confini stabiliti. Invano l’uomo si dà cura/ di proteggere il sogno in cui galleggia/ il pensiero, e con esso l ’illusione che il mondo sia soltanto ciò che appare.
Data recensione: 01/07/2010
Testata Giornalistica: Il Filo Rosso
Autore: Sandra Di Vito