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Frontespizio da entusiasmante soprassalto: Antonio Pizzuto, Pagelle. Un sussulto. Per «il ritorno» dell’autore e il piacere che permette l’evocazione di una formidabile temperie. L’autore intanto. Scrittore per carbonari, eccentrici snob

Frontespizio da entusiasmante soprassalto: Antonio Pizzuto, Pagelle. Un sussulto. Per «il ritorno» dell’autore e il piacere che permette l’evocazione di una formidabile temperie. L’autore intanto. Scrittore per carbonari, eccentrici snob, teorici dell’esclusivismo letterario? No. Un compito signore nato a Palermo nel 1893 che, entrato nell’amministrazione pubblica, aveva raggiunto il grado di questore e presidente della Commissione internazionale di Polizia criminale. Esemplare unico di questore colto, leggeva Proust e Joyce, conosceva la musica, ed era attento lettore di letteratura contemporanea. Al suo tempo esisteva ancora. Discusso e formidabile scrittore, si impose nel 1959 con Signorina Rosina, pubblicato dalle eroiche edizioni Lerici, cui seguirono in un crescente di eccitazione letteraria – ricordando alcuni titoli – Si riparano bambole (1960), ora riproposto da Bompiani, Ravenna (1962) per arrivare alle sublimi Pagelle I (1973) e Pagelle II (1975), ristampate adesso in edizione critica in unico volume. All’epoca sua, dai più raffinati cultori e critici della letteratura (Contini, Luzi, Caproni, Del Buono, Bo, Milano, Baldacci, Sanguineti, ecc.) Pizzuto fu riconosciuto per l’originalità dell’opera, tra le più significative dell’avanguardia italiana. Si esprimeva in una lingua somma che, in parte escludendo l’usuale processo di rappresentazione (venuta poi di gran moda con diffuse fiction e giovanilistici plot d’accatto bottegaio, odierna ingannevole non storia con parvenza letteraria) si avventurava nel sublime piacere della forma e della sua perfezione, con una scrittura che, in simultanea immediatezza, restituiva il flusso della coscienza e della memoria. Troppo complicato per la (tele)visiva e illusoria maniera di leggere d’oggi? Pizzuto aveva aperto nuove dimensioni, compiendo un passo in avanti nel comprendere le interiori possibilità umane comunicandole con un libro. Raro trovare altri esempi italici di compenetrazione assoluta, di fusione tra scrittura e percezione del mondo. In ogni pagina Pizzuto trasmette una formidabile esperienza di vita cui corrisponde un’ analoga carica che non può essere semplicemente letta: pretende di essere risvegliata con il flusso della coscienza del lettore. Troppo difficile per i tempi nostri? Eppure non sono passati così tanti secoli da quanto l’uscita di un’opera di Pizzuto la faceva giudicare come miracolo della creatività e della civiltà letteraria. Inoltre, gioioso e avvincente come un dipinto di Pollock, Pizzuto è anche divertente. Intessuto di ironie corrosive dalla grana sottile sembrerebbe ormai incomprensibile per la grossolanità di una lingua italiana tragicamente corrotta («…E parla come magni! »), strapiombata nel trivio. Comunque la sorpresa e la resistenza di queste pagine sta nella loro impensabile ricchezza: uniche nel loro inaspettato quanto sorprendente realismo. Pizzuto, con la sua opera, è stato anche un avvertito e consapevole scrittore dei problemi che incombevano sul romanzo moderno. Argomento d’antan? Almeno con l’occhio al «romanzo» d’oggi, tema improponibile.
Data recensione: 08/01/2011
Testata Giornalistica: Tuttolibri de «La Stampa»
Autore: Giuseppe Marcenaro