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È un fatto, tuttavia, che i frutti più maturi del Futurismo si danno nel campo della commistione delle arti, e uno degli esponenti più significativi in questo senso è il geniale e precocissimo Primo Conti, di cui dal 18 aprile al 31 maggio 2009 si è tenut

È un fatto, tuttavia, che i frutti più maturi del Futurismo si danno nel campo della commistione delle arti, e uno degli esponenti più significativi in questo senso è il geniale e precocissimo Primo Conti, di cui dal 18 aprile al 31 maggio 2009 si è tenuta nella basilica di Sant’Alessandro di Fiesole – dove ha sede la Fondazione Primo Conti (www.fondazioneprimoconti.org), a un tempo biblioteca, pinacoteca, archivio tra i più ricchi di documentazione del Futurismo fiorentino che, proprio attraverso la figura di Conti, viene ripercorso nel denso saggio introduttivo al Catalogo (Polistampa 2010) firmato da Enrico Crispolti – una bella mostra di dipinti e documenti.
È una stagione breve e di grande intensità produttiva, che, nel giro di un triennio, dal 1917 al 1919, quando già a Firenze, ma non solo, si respira aria di restaurazione e di ritorno all’ordine, arricchisce la sua «avventura immaginativa » (Crispolti, p. 19) del colore, della scomposizione futurista delle forme, innestando su un fondo cezanniano (i dipinti del 1917) quel «processo compenetrativo dinamico» (ancora Crispolti, p. 21) di marca prettamente boccioniana. Si pensi a un piccolo capolavoro come la Bambola = Sintesi di notte moderna del 1918, o – del medesimo anno – il dipinto in copertina del catalogo, quel Saltimbanco che ben riunisce le molte anime del futurismo, in ispecie fiorentino. Oppure, sempre riprodotto nel catalogo, il Marinaio ubriaco del 1919, dove la densità del «medium cromatico» diventa tutt’uno con un disegno semplificato e primitivo. «silhouettes elementari, ritagliate come in cartelloni di “cocomerai”» (p. 21), a testimonianza di quell’umore popolaresco » (che era di Conti non meno che di un Soffici o di un Rosai) che caratterizza il futurismo toscano: quel «non so che di chiaro, di paesano, di rustico, di equilibrato, che lo differenzia, per esempio, da quello tutto convulso, antigrazioso e meccanizzante di Boccioni» (p. 21), fino alla provocazione del grottesco, altra sua cifra stilistica di cui è emblema la rivista «Il Centone» pubblicata a Firenze nel 1919 insieme a Pavolini, che avrebbe firmato, proprio alla fine dello stesso 1919, la prima monografia sul pittore e campione del «grottesco reale» Ottone Rosai.
Con l’esperienza già metafisica del «Centone» si conclude la breve stagione futurista di Conti, che continua tuttavia nella sua ricerca pittorica fino alla fine degli anni Ottanta, con una produzione originale e variegata di più di 1500 opere ora consultabili on line nell’inventario dell’opera pittorica, da affiancare con l’inventario dell’omonimo Archivio, custodito a Fiesole e pubblicato da Polistampa nel 2008 a cura di Maria Chiara Berni, con un’introduzione di Gloria Manghetti.
È emblematico che si debba proprio a un’iniziativa di Primo Conti, testimoniata dalla minuta di una lettera del 6 aprile 1970 inviata all’amico Aldo Palazzeschi, la prima idea di un’istituzione – la Fondazione che, a lui intitolata, avrebbe trovato sede nella sua casa di Villa Le Coste – che tutelasse, sia nella conservazione che nella valorizzazione, la memoria storica delle avanguardie: «[…] La mia casa resterebbe come sede di incontri fra giovani di ogni nazionalità – mentre l’archivio e il museo verrebbero situati in un ambiente che io farei costruire, con l’aiuto di mercanti e collezionisti, da un giovane architetto di talento che ha molto interesse per questa iniziativa. Si eviterebbe così la dispersione di un materiale documentario capace di testimoniare alle nuove generazioni il significato più vivo e più vero delle nostre battaglie giovanili – e la funzione che ebbe la nostra Firenze per il rinnovamento della cultura europea (e mondiale?)» (p. 104).
Data recensione: 01/01/2010
Testata Giornalistica: Antologia Vieusseux
Autore: Paola Italia